
SAN CIPRIANO D’AVERSA. Nuove dichiarazioni scuotono il processo sull’omicidio di Domenico Cioffo, ucciso il 1° febbraio 1995 a San Cipriano d’Aversa nel pieno della guerra tra il clan dei Casalesi e il gruppo guidato da Giuseppe Quadrano. Davanti alla Corte d’Assise, il collaboratore di giustizia Giuseppe Misso ha raccontato come il gruppo avesse utilizzato un edificio di proprietà di Francesco Compagnone – in realtà intestato al figlio Antonio, poi deceduto – come base logistica per organizzare l’agguato.
Secondo Misso, quell’immobile grezzo era spesso messo a disposizione dal clan per custodire armi e veicoli, e in occasione dell’omicidio Cioffo fu usato per ospitare i killer nei giorni di preparazione. “Compagnone veniva a trovarci, ci portava da mangiare e sapeva bene perché eravamo lì. Dopo il delitto riportammo l’auto e le armi in quella casa”, ha riferito il pentito.
A chiarire ulteriormente il ruolo di Compagnone è stato Nicola Panaro, anch’egli collaboratore di giustizia. “Era un affiliato, seppur con compiti secondari – ha spiegato –. In quell’occasione ci fece da ‘specchiattista’, controllando i movimenti della vittima. Apriva e chiudeva il portone scorrevole, portava fuori messaggi e restava con noi per non destare sospetti. Dopo l’agguato ricevette l’ordine di far sparire la vettura usata, che poi fu data alle fiamme”.
Secondo la ricostruzione della DDA di Napoli, l’eliminazione di Cioffo fu decisa da Walter Schiavone e Vincenzo Zagaria, all’epoca ai vertici dei Casalesi, per ribadire la supremazia sul clan rivale. Oltre a Misso e Panaro, tra i partecipanti ci furono Raffaele “Rafilotto” Diana, Oreste Caterino (poi deceduto) e lo stesso Compagnone.
Le condanne, già inflitte in abbreviato, prevedono 20 anni di reclusione per Schiavone, Diana e Zagaria, e 10 anni per i pentiti Panaro e Misso. Compagnone, difeso dall’avvocato Pasquale Diana, è ancora sotto processo. Il procedimento proseguirà a novembre con l’audizione dell’ultimo teste della polizia giudiziaria.

