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Sfila in bikini a 13 anni, famiglia si difende: “Genitori d’accordo, basta insulti”

 

Teverola. Negli ultimi giorni è esplosa una polemica sui social e sui media attorno alla partecipazione di una ragazza di 13 anni, presente come mascotte a un concorso di Miss Italia. La giovane, minorenne, è stata oggetto di insulti, accuse e parole pesanti, soprattutto sul tema della “sessualizzazione” minorile. Una vicenda che ha acceso il dibattito, ma soprattutto che ha messo in luce le disparità di genere e il modo differente in cui viene giudicato il sogno di una ragazzina rispetto a quello di un ragazzino.

A prendere le difese della giovane è stato il cugino, che dalla gestione del profilo social della ragazza – operata con il suo consenso e il supporto della famiglia – ha affidato ai media una chiara e sentita dichiarazione, nel tentativo di fare chiarezza e ristabilire la verità:

«Sono io, suo cugino, a scrivere questa storia. Gestisco questo profilo con il suo consenso e il supporto della sua famiglia, e oggi sento il bisogno di fare chiarezza.
Negli ultimi giorni, lei – una ragazza di 13 anni – è finita al centro di una polemica che non le appartiene, solo per aver partecipato come mascotte a un concorso di Miss Italia.
Un video è diventato virale e da lì si sono moltiplicati articoli, giudizi e, purtroppo, anche parole molto pesanti come “sessualizzazione”.
Parlare così di una minorenne è pericoloso, scorretto e profondamente sbagliato.
La verità è questa: la partecipazione è stata una scelta libera e consapevole, sostenuta dai genitori. Nessuno l’ha obbligata. Nessuno ha “puntato una pistola”, come qualcuno ha ironizzato. È stato un momento di gioia, vissuto in un contesto controllato e sicuro. Chi ha scelto di distorcere tutto per fare rumore ha sbagliato bersaglio.

La cosa più triste? Lei ci è rimasta male davvero. È solo una ragazza, ha letto parole che nessuna tredicenne dovrebbe leggere su di sé. È stata ferita, delusa, amareggiata.
Ma chi la conosce sa che si rialzerà più forte di prima, con la sua luce, la sua forza e con il cuore pulito che la rende speciale.
Lasciate che le ragazze crescano con dignità, senza essere giudicate da adulti che dovrebbero sapere meglio.
Grazie a chi ci ha sostenuto. Il problema non è lei. Sono gli occhi di chi guarda male».

Il caso riporta a galla una questione più ampia e delicata: la tendenza a giudicare e attaccare severamente e con durezza le ragazze, anche giovanissime, quando esprimono i loro sogni o partecipano a iniziative pubbliche, mentre spesso lo stesso atteggiamento viene riservato con più benevolenza ai coetanei maschi. È una questione di disparità di genere e sessismo, che comincia fin dalla giovane età e si manifesta nei modi più diversi, inclusa la pressione mediatica e sociale.

Difendere le donne significa quindi anche proteggere le giovanissime, permettere loro di crescere libere, sostenute da famiglie attente e responsabili, senza sottoporle al peso dello sguardo malevolo di una società spesso pronta a giudicare e a condannare senza conoscere le storie e le dinamiche che stanno dietro.

In questo contesto, la famiglia e il cugino hanno voluto chiarire con fermezza che la partecipazione della ragazzina era frutto di una scelta informata, fatta in un ambiente sicuro, e che gli attacchi subiti non meritano spazio né seguito: «Il problema non è lei. Sono gli occhi di chi guarda male».

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