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Minacce a Saviano e Capacchione, condannati boss e avvocato. Scrittore in lacrime

 

CASAL DI PRINCIPE. Le condanne inflitte in primo grado per le gravi minacce rivolte nel 2008 allo scrittore Roberto Saviano e alla giornalista Rosaria Capacchione sono state confermate oggi in Appello. La Prima sezione della Corte d’Appello di Roma ha infatti rigettato i ricorsi presentati, accogliendo integralmente quanto stabilito nella sentenza del 24 maggio 2021. Saviano è difeso d’avvocato Nobile di Santa Maria a Vico.

A essere condannati sono Francesco Bidognetti, ritenuto al vertice del clan dei Casalesi, a un anno e sei mesi, e l’avvocato Michele Santonastaso, a un anno e due mesi, per le frasi intimidatorie pronunciate durante il processo di secondo grado Spartacus, celebrato nel capoluogo campano. La vicenda risale al 2008, quando in aula fu letto un documento contenente un vero e proprio proclama di matrice mafiosa.

Secondo quanto emerso dalle motivazioni della sentenza di primo grado, la condotta dei due imputati si inserisce a pieno titolo in un’azione riconducibile alla strategia di intimidazione e condizionamento del territorio tipica dell’organizzazione camorristica. «La condotta ascritta ai due imputati è inserita nel contesto di criminalità organizzata proprio della cosca dei Casalesi di cui Bidognetti era capo. La minaccia e l’intimidazione rivolta platealmente contro i due giornalisti fu espressione di una precisa strategia ideata dallo stesso capomafia, il cui interesse era quello di agevolare ed alimentare il potere di controllo sul territorio esercitato dal clan e di rafforzarne il potere», scrissero i giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Roma.

Nel procedimento si sono costituite parte civile la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi), rappresentata dall’avvocato Giulio Vasaturo, e l’Ordine dei Giornalisti della Campania.

Le parole di Saviano dopo la sentenza

All’uscita dall’aula, Roberto Saviano ha commentato con voce rotta dall’emozione: «Mi hanno rubato la vita». Lo scrittore ha abbracciato tra le lacrime il suo avvocato, Antonio Nobile, subito dopo la lettura della sentenza. In aula, il pubblico presente ha accolto la decisione dei giudici con un applauso spontaneo.

Saviano ha sottolineato che non si tratta di una vittoria, vista la durata del processo: «Sedici anni di processo non sono una vittoria per nessuno ma ho la dimostrazione che la camorra in un’aula di tribunale, pubblicamente ha dato la sua interpretazione: che è l’informazione a mettergli paura».

«Ora abbiamo la prova ufficiale in questo secondo grado che dei boss con i loro avvocati firmarono un appello dove – prosegue Saviano – misero nel mirino chi raccontava il potere criminale. E non attaccarono la politica ma il giornalismo, insinuando che avrebbero ritenuto i giornalisti, e fu fatto il mio nome e quello di Rosaria Capacchione, i responsabili delle loro condanne. Non era mai successo in un’aula del tribunale, in nessuna parte del mondo».

Una sentenza che, pur arrivando dopo anni, ribadisce il valore della libertà di stampa come presidio democratico, contro ogni tentativo di intimidazione mafiosa.

 

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