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Pizzo e racket, trema la rete del boss: in 8 rischiano grosso

 

CASAL DI PRINCIPE/GRAZZANISE. La Direzione Distrettuale Antimafia ha presentato una richiesta complessiva di settantatré anni di reclusione contro Antonio Mezzero, figura storica del gruppo Schiavone, e altri otto imputati a lui vicini, coinvolti in una fitta rete di attività criminali tra cui spiccano estorsioni, incendi dolosi, possesso di armi e ricettazione.

Il pubblico ministero Vincenzo Ranieri, della DDA di Napoli, ha depositato la sua requisitoria al cospetto del GUP Antonino Santoro, avanzando proposte di condanna dettagliate:

16 anni per Antonio Mezzero, considerato l’organizzatore e promotore delle attività illecite;

15 anni per Davide Grasso;

11 anni per Michele Mezzero;

7 anni e mezzo per Pasquale Natale;

7 anni per Carlo Bianco;

6 anni ciascuno per Pietro Di Marta e Andri Spahiu;

5 anni per Pietro Zippo.

Per altri imputati, tra cui Giovanni Diana e Alessandro Mezzero, è stata respinta la richiesta di rito abbreviato subordinato all’audizione delle persone offese. Il procedimento a loro carico proseguirà con rito ordinario presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dove già si sta svolgendo il processo per Giuseppe Diana e Vincenzo Addario.

Indagine anticamorra

L’indagine, scaturita da un’operazione del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Caserta e diretta dalla DDA partenopea, è frutto di mesi di lavoro sul campo. Tra settembre 2022 e giugno 2023, grazie a intercettazioni, osservazioni discrete e pedinamenti, è stato possibile ricostruire l’attività del gruppo guidato da Mezzero, attivo in diverse aree del Casertano: da Grazzanise a Casal di Principe, passando per Capua, Vitulazio, San Tammaro e Santa Maria La Fossa.

Antonio Mezzero era tornato in libertà nel luglio 2022, dopo oltre vent’anni di carcere. Nonostante fosse sottoposto a misure restrittive come la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, secondo gli inquirenti avrebbe subito cercato di riorganizzare la rete criminale per consolidare la propria influenza sul territorio.

Il controllo del territorio

L’indagine ha svelato un articolato sistema di estorsioni rivolte a imprenditori locali, tra cui un grave episodio ai danni di una giovane coppia, colpevole solo di non voler abbandonare l’appartamento che occupava in affitto. L’intimidazione si è concretizzata nell’incendio della loro auto, usata come strumento di pressione psicologica.

Il gruppo, inoltre, secondo gli inquirenti, avrebbe tentato di inserirsi nella gestione di attività economiche come copertura per reinvestire denaro di provenienza illecita. In un caso specifico, è emersa la richiesta di una tangente milionaria legata alla compravendita di un capannone industriale.

Tra i reati contestati, anche il traffico di mezzi rubati – soprattutto veicoli da cantiere e autocarri – molti dei quali sono stati recuperati e restituiti ai proprietari. Si stima che il valore complessivo dei beni recuperati ammonti a circa 40mila euro.

Altro elemento centrale dell’accusa è la detenzione illecita di armi da fuoco, ritenute nella disponibilità del gruppo e funzionali al mantenimento del potere criminale e al controllo del territorio. Il dibattimento riprenderà a settembre, quando si aprirà la fase delle arringhe difensive.

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