
MARCIANISE. Il cemento resta uno degli strumenti principali della camorra per penetrare il tessuto economico legale. Lo dimostrano le più recenti operazioni giudiziarie e investigative che, tra settembre e ottobre 2024, hanno colpito duramente gli interessi del clan Belforte nel settore del calcestruzzo e dei materiali edili, con una presenza significativa anche nel basso Lazio, in particolare nella provincia di Frosinone e nell’area pontina. Uno scenario delineato dalla relazione della Dia recentemente emersa e relativa all’anno 2024.
Il sistema del “pizzo” legalizzato: sovrafatturazioni e appalti
Uno degli interventi più incisivi è stato eseguito il 3 ottobre 2024: la DIA di Napoli, insieme alla Polizia di Stato e alla Guardia di Finanza di Caserta, ha portato a termine una maxi confisca di beni per un valore complessivo di 30 milioni di euro nei confronti di un imprenditore casertano attivo nella ristorazione e nel calcestruzzo. L’uomo, già condannato per contiguità con il clan Belforte, aveva ideato un sofisticato sistema di estorsione “legalizzata”, basato su sovrafatturazioni. Il provvedimento ha colpito due complessi societari, 62 beni immobili dislocati tra Caserta, Benevento, Salerno e Parma, oltre a decine di rapporti finanziari e veicoli industriali.
Aziende di facciata e prestanome: il sequestro di settembre
Pochi giorni prima, il 9 settembre 2024, i Carabinieri di Caserta avevano eseguito un sequestro preventivo nei confronti di quattro persone legate al clan Belforte, accusate di trasferimento fraudolento di valori. Uno degli indagati, già condannato per concorso esterno in associazione camorristica, avrebbe intestato fittiziamente una società di fornitura di calcestruzzo a due prestanome. Il sequestro ha colpito l’intero complesso societario, attivo anche nel commercio all’ingrosso di materiali edili, con un valore stimato in 1,5 milioni di euro.
Connessioni familiari e patrimoni sospetti
In un ulteriore filone, la DIA ha sequestrato beni, rapporti bancari, auto e persino una barca, per un totale di 1,5 milioni di euro, riconducibili al genero di un vertice del clan Belforte, già condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Le indagini hanno svelato come questi patrimoni siano frutto di un sistema criminale che intreccia economia legale e illegale, con una capacità straordinaria di mimetizzarsi tra attività apparentemente lecite.
L’espansione nel basso Lazio: non solo cemento
L’interesse del clan Belforte non si ferma al casertano. Le ultime relazioni investigative parlano di una costante infiltrazione nel basso Lazio, in particolare nella provincia di Frosinone e nell’area pontina, dove operano anche i clan Casalesi, Moccia, Bardellino, Gagliardi-Fragnoli, Di Lauro e Mallardo, spesso in alleanza silenziosa con formazioni ‘ndranghetiste come quelle dei Tripodo, Alvaro, La Rosa e De Stefano. La competizione iniziale tra gruppi ha lasciato spazio a una strategia di cooperazione e spartizione del territorio, che coinvolge settori come il calcestruzzo, lo smaltimento dei rifiuti e il trasporto su gomma.
Frosinone crocevia della latitanza e degli investimenti
La provincia di Frosinone rappresenta un territorio strategico per i clan campani, non solo per l’espansione economica ma anche per favorire la latitanza dei boss. Qui operano cellule legate ai Casalesi, al clan Amato-Pagano e agli stessi Belforte. Pregresse indagini hanno documentato proiezioni extra-regionali del clan, con ramificazioni imprenditoriali che sfruttano la posizione geografica decentrata del basso Lazio per mimetizzare investimenti e attività illecite.