
MADDALONI/CASERTA/SANTA MARIA CAPUA VETERE. Una vasta operazione avviata nella giornata di ieri ha portato scompiglio negli ambienti giudiziari di Santa Maria Capua Vetere. L’azione, partita con un’irruzione nei locali del Giudice di Pace di via Spartaco e proseguita fino a sera, ha visto impegnate le forze dell’ordine – Polizia di Stato e Guardia di Finanza – in perquisizioni mirate e sequestri di materiale cartaceo e digitale.
Al centro delle indagini condotte dalle Procure di Santa Maria Capua Vetere, diretta dal magistrato Pierpaolo Bruni, e di Roma – competente per territorio – vi è il presunto coinvolgimento di tre giudici onorari: Bruno Dursio (Napoli), Rodosindo Martone (Caserta) e Maria Gaetana Fulgeri (Maddaloni). Le operazioni si sono estese anche a studi legali, residenze private, agenzie automobilistiche e persino un centro di demolizione veicoli.
L’inchiesta, che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di ben 106 persone tra Caserta e Napoli, ruota intorno alla presunta manipolazione di sentenze relative a sinistri stradali inesistenti. Secondo gli inquirenti, dietro l’apparente legalità si nascondeva un sistema collaudato per truffare le compagnie assicurative, con un giro d’affari stimato in oltre 2 milioni di euro per il solo 2024.
La rete criminale avrebbe visto la partecipazione di numerosi professionisti – tra cui circa trenta tra avvocati, periti, medici e tecnici – accusati a vario titolo di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata alla frode assicurativa. Decisivo sarebbe stato il ruolo degli avvocati, che avrebbero organizzato ogni fase delle false pratiche: dalla creazione del finto sinistro alla collaborazione con medici compiacenti, fino alla presentazione delle domande di risarcimento.
I giudici di pace sotto inchiesta, secondo l’accusa, avrebbero accettato denaro e beni di lusso – tra cui orologi di valore – in cambio di sentenze favorevoli, riconoscendo risarcimenti per danni fisici e morali mai realmente subiti.
La mente del presunto schema truffaldino sarebbe l’avvocato Giuseppe Luongo, affiancato dalla moglie Conte Luigia Daniela e da una schiera di legali tra cui Gabriele Calderone, Giancarlo Salzillo, Salvatore Santagata, Pasquale De Rosa, Michele Zagaria e Bruno Aurora. Il gruppo avrebbe orchestrato una vera e propria macchina della frode, costruendo incidenti immaginari con l’ausilio di auto non funzionanti intestate a prestanome e custodite in un’autodemolizione di Parete, gestita da Antonio Prova.
Le pratiche di compravendita fittizie dei veicoli venivano gestite da un’agenzia di Qualiano, la Rafer S.r.l., sotto la direzione di Raffaele Guarino. La messa in scena era completata da falsi testimoni, conducenti inventati e sedicenti vittime, reclutati dietro compenso da Vito Bianco, Ester Coppola e altri collaboratori. In alcuni casi sarebbero stati impiegati documenti contraffatti.
Determinante anche il ruolo dei consulenti tecnici d’ufficio: Danilo Lisi, Gianluigi Di Stasio e Luigi D’Amico, accusati di avere redatto perizie mediche inventate a fronte di pagamenti in denaro. I loro referti avrebbero attestato traumi mai verificatisi e visite mai avvenute, così da legittimare le richieste di risarcimento.
I proventi ottenuti tramite procure speciali sarebbero stati incassati dagli avvocati e successivamente trasferiti su conti intestati a prestanome. Grazie alla complicità del vicedirettore dell’ufficio postale di Lusciano, Orazio Maccarone, il denaro sarebbe poi stato prelevato in contanti, aggirando le norme antiriciclaggio.
Parte delle somme sarebbe tornata nelle mani dell’avvocato Luongo tramite il cognato Alfonso Conte, che avrebbe effettuato bonifici alla sorella con causali fittizie.
La notizia ha lasciato sgomenti molti professionisti del settore. Diversi colleghi hanno descritto gli indagati come figure irreprensibili e stimati lavoratori, rendendo la vicenda ancora più scioccante. Tuttavia, la Procura ha precisato che le accuse sono ancora nella fase preliminare e che ogni imputato è da considerarsi innocente fino a sentenza definitiva.

