
MADDALONI. La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati da Giuseppe Di Lucia, 57 anni, e Massimo Sanfilippo, 56 anni, entrambi originari di Maddaloni, confermando le condanne pronunciate in appello nell’ambito di una complessa indagine sullo smaltimento illecito di rifiuti provenienti dal Nord Italia e destinati al territorio casertano.
Il procedimento, avviato dalla Procura di Milano, ha riguardato un vasto sistema di trasporto e gestione irregolare di rifiuti industriali, con impianti non autorizzati e vere e proprie discariche abusive. La terza sezione penale della Suprema Corte, sotto la presidenza del giudice Giulio Sarno, ha dichiarato inammissibili i ricorsi dei due imputati, ritenendo infondate le obiezioni relative alla competenza territoriale e alla valutazione della loro responsabilità.
In appello, le pene erano già state riviste rispetto al primo grado: Di Lucia, inizialmente condannato a 2 anni e 4 mesi, ha visto la sua pena ridotta a un anno di reclusione; per Sanfilippo, la condanna è passata da 4 anni e 8 mesi a 4 anni pieni.
Secondo le ricostruzioni, Di Lucia operava come dirigente della ditta logistica “Trasporti Madda Srl”, mentre Sanfilippo risultava amministratore di fatto della società “Winsystem Group Srl”. Entrambi sono stati ritenuti parte attiva di un’organizzazione criminale finalizzata alla gestione illecita dei rifiuti, alla creazione di depositi abusivi e all’intestazione fittizia di beni.
Le indagini, coordinate dai pubblici ministeri Donata Costa e Silvia Bonardi e condotte dai Carabinieri del NOE di Milano, hanno portato a un’operazione che ha visto coinvolti 20 soggetti (12 dei quali finiti in carcere e 8 agli arresti domiciliari). Al centro dell’inchiesta, la Winsystem Group Srl, che fungeva da snodo per l’accumulo e la movimentazione dei rifiuti nei capannoni situati in vari comuni tra Lombardia e Veneto, come Pontevico, Gessate, Torbole Casaglia, Tabellano, Verona e Meleti.
Nei siti coinvolti, tonnellate di scarti — circa 10.000 secondo le stime — venivano immagazzinate senza le necessarie autorizzazioni ambientali e senza misure di sicurezza, costituendo un grave rischio per l’ambiente e la salute pubblica. Il trasporto e la gestione del materiale erano affidati a lavoratori stranieri impiegati in nero, pagati pochi euro all’ora per svolgere mansioni pericolose e illegali.
Secondo la Suprema Corte, non ci sono dubbi: l’organizzazione ha operato sistematicamente in diversi territori, rendendo fondata la competenza del tribunale milanese. I giudici hanno inoltre ribadito la piena responsabilità dei due imputati per il contributo attivo offerto all’associazione criminale.

