
TEVEROLA. Avrebbe avuto il compito di fare da ponte tra i vertici del clan e i loro affiliati, ma anche quello di imporre servizi di vigilanza a esercenti locali: è questo il doppio ruolo che, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Francesco De Chiara, avrebbe ricoperto Giovanni Picca, 43 anni, nipote del presunto boss Aldo Picca.
Le dichiarazioni del pentito, ora agli atti di un’inchiesta condotta dai carabinieri su mandato della Direzione Distrettuale Antimafia, delineano un ruolo tutt’altro che marginale per Giovanni Picca, che avrebbe fatto da portavoce tra suo zio e Salvatore De Santis, detto “Buttafuori”, considerato un elemento cardine dell’organizzazione criminale operante a Teverola. De Santis, secondo gli inquirenti, sarebbe stato attivo sia nel traffico di stupefacenti sia in operazioni estorsive.
Ma il presunto coinvolgimento del 43enne non si fermerebbe qui. De Chiara ha raccontato agli inquirenti che Picca si sarebbe occupato anche di contattare e accompagnare alla residenza dello zio le persone che questi desiderava incontrare. Una sorta di assistente personale con incarichi operativi all’interno dell’organizzazione.
A ciò si aggiunge, secondo il racconto del collaboratore, un altro compito delicato: sarebbe stato incaricato di imporre a due attività commerciali – un bar e un ristorante – l’adozione di un servizio di vigilanza privata riconducibile al clan. Un modo, stando alle indagini, per estendere il controllo territoriale dell’organizzazione anche sull’economia locale, assicurandosi introiti e influenza.
L’indagine ha portato al rinvio a giudizio di 30 persone. Tra loro, anche Giovanni Picca, che ora deve rispondere dell’accusa di associazione mafiosa per il suo presunto contributo alla gestione di un sistema di sicurezza privato funzionale agli interessi del gruppo criminale.
Le accuse mosse dal pentito vanno nella stessa direzione già tracciata dagli investigatori dell’Antimafia. Tuttavia, va sottolineato che tutti gli indagati – compresi Giovanni Picca, Aldo Picca, Nicola Di Martino e Salvatore De Santis – sono da ritenersi innocenti fino a prova contraria e a una sentenza definitiva.

