
Si è concluso oggi davanti al Tribunale di Benevento – Giudice Simonetta Rotili- il lungo processo a carico di B. A. e R. E., genitori della piccola Giulia, all’epoca dei fatti (2017) di quasi tre anni, per abbandono aggravato dalle lesioni gravi.
Una vicenda che fece molto scalpore all’epoca e che ha coinvolto i migliori specialisti in materia di endocrinologia pediatrica nominati dalla Procura e dalla Difesa.
Si contestava ai genitori di Giulia, difesi dall’avvocato Raffaele Carfora, di aver abbandonato per noncuranza la propria figlia che avrebbe assunto autonomamente farmaci tiroidei in misura tale da provocarle una grave forma di “tireotossicosi factitia iatrogena” che avrebbe potuto essere letale e che era stata rilevata attraverso esami di laboratorio con valori del sangue esasperatamente elevati, e per cui è seguito un lungo ricovero della bambina presso il Policlinico Vanvitelli nel settembre 2017, prima di riprendersi totalmente soltanto nelle settimane successive.
Ciò aveva anche provocato l’allontanamento della bimba dalla famiglia con la collocazione in comunità.
Le condizioni cliniche di Giulia – è emerso tuttavia nel processo- si erano manifestate critiche già nei mesi precedenti quando le era stata diagnosticata una forma severa di tachicardia sinusale prima, e focale atriale poi messa dai consulenti della Procura in collegamento con lo scompenso tiroideo, e per cui si era già sottoposta a diversi ricoveri sia all’Ospedale Fatebenefratelli di Benevento sia al Santobono di Napoli, epoca in cui il quadro ormonale tiroideo si presentava invece nella norma, come dimostrato dalla difesa.
Per l’equipe dei periti (tre specialisti guidati dal Prof. Marco Cappa) del Pubblico Ministero Assunta Tillo, non c’erano dubbi: la patologia fu provocata da una assunzione esterna di farmaci tiroidei, unica spiegazione plausibile in termini scientifici.
La difesa dei genitori ha tuttavia rilevato che quelle conclusioni fossero valide soltanto in base agli elementi diagnostici disponibili ma attraverso i propri consulenti ha rilevato che una serie di accertamenti (tra cui un approfondito esame elettrocardiografico) non furono effettuati, finendo con il tradire il percorso che faceva giungere a quelle conclusioni in termini di certezza.
In ogni caso, la difesa ha sostenuto che quand’anche fosse dimostrata l’assunzione esterna della levotiroxina, rispetto a condotte irreprensibili dei genitori confermate nel processo dalla pediatra di base in ordine alle attenzioni e alla cura mostrata per la propria figli con ricoveri, continui accessi al pronto soccorso e consultazioni private presso i migliori specialisti sanitari del settore, risultasse del tutto indimostrata, oltre che inverosimile, l’accusa del reato di abbandono che avrebbe visto la piccola lasciata deliberatamente sola ad ingerire più volte in autonomia compresse farmacologiche, evidenziando ancora come non fossero state esplorate piste alternative.
La casa della piccola fu, infatti, oggetto di una perquisizione da parte dei Carabinieri su disposizione della Procura mentre i genitori erano proprio in ospedale con Giulia, ove ritrovarono tra i farmaci una confezione dal principio attivo della levotiroxina, del tutto integra ma -ha rimarcato la difesa- non furono mai oggetto di ispezione e verifica altri luoghi di frequentazione della bimba (frequentava quotidianamente anche un asilo del beneventano) come emerso dal processo.
Il Pubblico Ministero all’udienza odierna conclusiva aveva chiesto la condanna per il padre e la madre della piccola ad un anno e otto mesi di reclusione.
Dopo la discussione del difensore dei genitori, e diverse ore di camera di consiglio, il Tribunale ha assolto entrambi con formula piena perchè il fatto non sussiste.

