Santa Maria Capua Vetere/Casal di Principe/San Cipriano d’Aversa. La Corte di Cassazione ha ribadito la condanna all’ergastolo per Enrico Martinelli, Pasquale Spierto e Giuseppe Caterino, riconosciuti rispettivamente come esecutori materiali (Martinelli e Spierto) e come colui che ha ordinato il delitto (Caterino), per il duplice omicidio di Sebastiano Caterino e del nipote Umberto De Falco, avvenuto il 31 ottobre 2003 in via dei Romani, a Santa Maria Capua Vetere.
La prima sezione penale della Suprema Corte, presieduta dal giudice Giacomo Rocchi, ha rigettato il ricorso presentato dagli avvocati degli imputati, confermando la decisione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli. Quest’ultima aveva a sua volta avallato la sentenza del giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Napoli, che aveva inflitto la massima pena ai tre accusati per il delitto di stampo camorristico.
I magistrati di secondo grado hanno analizzato in maniera approfondita la credibilità delle numerose testimonianze acquisite, ritenendo valide le dichiarazioni raccolte dal giudice di primo grado. Tra i testimoni, Bruno Lanza è stato considerato affidabile poiché coinvolto direttamente sia nella fase di preparazione che nell’esecuzione dell’assassinio. Anche Massimo Vitolo, uno degli esecutori materiali, è stato valutato come degno di fiducia. Inoltre, il collaboratore di giustizia Francesco Zagaria, noto come “Ciccio e’ brezza”, ha confermato il suo ruolo nell’azione criminale come vedetta, ammettendo la propria colpevolezza.
Ritenute attendibili anche le dichiarazioni di Antonio Iovine, Nicola Panaro e Salvatore Laiso, così come la confessione di Francesco Schiavone, alias “Cicciariello”, che ha ammesso di aver deciso di eliminare Sebastiano Caterino, causando indirettamente anche la morte di Umberto De Falco, estraneo alla faida.
Dopo un’ulteriore valutazione delle prove, la Corte ha confermato la colpevolezza di Martinelli e Spierto come esecutori del duplice omicidio e di Caterino come mandante, insieme a Schiavone.
Gli avvocati degli imputati avevano presentato ricorso sostenendo che la sentenza fosse priva di logica nella valutazione dell’attendibilità dei collaboratori di giustizia e carente nella motivazione per cui le prove a discarico non fossero state considerate valide.
Tuttavia, per la Corte di Cassazione, i ricorsi sono stati giudicati inammissibili, poiché la Corte d’Assise d’Appello ha già riesaminato le testimonianze, confermando che i dichiaranti, tutti coinvolti direttamente nei fatti, erano già stati ritenuti affidabili in procedimenti precedenti relativi alla stessa vicenda.

