Caserta/Santa Maria Capua Vetere/Casoria. “Dottoressa, io sono andato là, stamattina, dai carabinieri, perché ho bisogno di aiuto”. “Lei che tipo di aiuto vuole?”. “Voglio fermarmi!”.
È uno dei passaggi dell’interrogatorio reso giovedì scorso da Mario Eutizia, il badante killer napoletano che si è costituito ai carabinieri di Caserta dopo aver confessato di aver ucciso quattro anziani da lui assistiti perchè “non poteva vederli soffrire”. Alla pm di Santa Maria Capua Vetere, Annalisa Imparato, Eutizia ha detto che, poichè sentiva la necessità di tornare a fare il badante, cioè il lavoro che aveva svolto negli ultimi 12-13 anni, aveva “paura che capitava un’altra volta”.
“Cosa capitava?”, gli chiede il magistrato. La risposta: “Sto fatto che sentivo quando vedevo che soffrivano queste persone”. E quello che ‘sentiva’ era la necessità di porre fine ai dolori, e alle loro vite, con massicce dosi di farmaci. Per questo in un primo momento si reca alla polizia ferroviaria di Caserta, “sperando” – visti i suoi numerosi precedenti – che ci fosse qualche ordine di cattura nei suoi confronti. Ma non c’era. Così è andato in chiesa (“sono cristiano, cattolico”) e poi si è addormentato su una panchina. Infine ha chiamato i carabinieri, ai quali ha confessato tutto. La pm, in un drammatico confronto, gli fa presente la gravità delle sue affermazioni: “lei si sta autoaccusando di omicidi, lo sa che è un reato molto grave, che è punito con la pena dell’ergastolo… e lei nonostante tutto vuole essere aiutato… cioè l’aiuto è per non commettere più questi fatti?”. Eutizia: “Sì, per questo”.
Pm: “Quindi lei dice io adesso preferisco essere fermato, arrestato, piuttosto che continuare a lavorare, perché non riesce a fermarsi davanti al dolore altrui?” Eutizia: “Esatto quello ho paura, per me e più importante che le altre persone… me ne potevo stare in santa pace… Tanto quanto altro posso vivere con quello che ho, un altro anno e mezzo, due?”
Pm: “Quindi lei ha voluto liberare la sua coscienza, sostanzialmente questo”. Eutizia: “Sì”. Alla domanda se fosse stato “spinto da una voce interna” l’indagato risponde secco: “No, non sono pazzo… non partivo ‘devo andare lì e devo uccidere'”. E spiega: “io stavo, vivevo insieme alla persona e la vedevo soffrire… quello che diceva ‘voglio morire, non ce la faccio più…’, che di notte urlava, si graffiavano la faccia, cioè lei non sa cosa quelle persone passano quando c’hanno quelle patologie”.