Sessa Aurunca. Non c’erano diritti, neanche i più basilari, per i braccianti agricoli stranieri impiegati nella raccolta di pomodori nei fondi agricoli del Casertano; non un contratto o una paga dignitosa, solo lavoro per quasi 12 ore al giorno, e nel caso di un momento di riposo scattavano insulti, minacce e cinghiate.
E’ quanto emerso dall’indagine sul fenomeno del caporalato della Procura di Santa Maria Capua Vetere e dei carabinieri dell’Ispettorato del Lavoro di Caserta, che ha coinvolto quattro imprenditori agricoli di Marano di Napoli, accusati dei reati di sfruttamento del lavoro e impiego di manodopera clandestina; nei loro confronti il gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha emesso su richiesta della Procura la misura del divieto di dimora in provincia di Caserta.
L’indagine è partita in seguito ai controlli effettuati dai militari dell’Arma sui terreni agricoli e attivati dalla task force anti-caporalato prevista dal progetto “Su.Pr.Eme”. I carabinieri hanno notato dieci braccianti stranieri che raccoglievano pomodori, hanno scoperto che nessuno aveva il contratto e che erano costretti a lavorare undici ore al giorno, sette giorni su sette, per una paga quotidiana di 30-40 euro.
Qualche bracciante ha poi raccontato ai carabinieri le violenze subite dagli imprenditori agricoli; è così emerso il caso del lavoratore colpito con la cinghia dopo essersi seduto a terra per riposarsi, o di un altro che era stato colto da malore e riportato a casa invece che in qualche struttura sanitaria.
Tammaro Della Corte, segretario della Flai-Cgil di Caserta, parla di “indagine importante per la quale vanno ringraziati magistratura e forze dell’ordine”, e di “quadro estremamente grave e disumano. Non sono tollerabili tali atteggiamenti di umiliazione e sopraffazione nei confronti di chi lavora. Condizioni indegne – aggiunge – che assumono un contorno ancora più grave perché i lavoratori sono ulteriormente fragili e ricattabili in quanto non dotati di permessi di soggiorno”. Ma il fenomeno dello sfruttamento lavorativo è presente in tutto il Mezzogiorno d’Italia. A Taranto, un’altra operazione dei carabinieri dell’Ispettorato del lavoro ha portato all’arresto di un imprenditore cinese di 60 anni, titolare di un grande esercizio commerciale di vendita al dettaglio di prodotti per la casa e la persona; l’azienda è stata posta sotto sequestro. Per la procura del capoluogo pugliese, l’uomo, finito ai domiciliari, avrebbe costretto almeno 13 persone a lavorare, a fronte di una paga esigua, per più di 60 ore settimanali, senza periodi di ferie e sorvegliandoli in azienda con delle telecamere, obbligandoli anche a restituire in contanti una parte della retribuzione.