CASAL DI PRINCIPE. Ventisette condanne e due secoli di carcere. E’ questo il bilancio dell’inchiesta sul nuovo clan Bidognetti. Nei mesi scorsi la Dda aveva chiesto e ottenuto dal gip il giudizio immediato per 39 imputati. Si trattava di Salvatore Gabriele, Sergio Nicola Kader, Nicola Garofalo, Antonio Lanza, Giosuè Fioretto, Giacomo D’Aniello, Angelo Zaccariello, Giovanni Stabile, Antonio Stabile, Giuseppe Spada, Gianluca Bidognetti, Vincenzo D’Angelo, Federico Barrino, Vincenzo Simonelli, Francesco Cerullo, Ernesto Corvino, Giovanni Corvino, Katia Bidognetti, Emiliana Carrino, Carlo d’Angiolella, Teresa Bidognetti, Annalisa Carrano, Francesca Carrino, Agostino Fabozzo, Marco Alfiero, Onorato Falco, Pietro Falco, Giovanni della Corte, Clemente Tesone, Franco Bianco, Salvatore De Falco, Vincenzo di Caterino, Giuseppe Di Tella, Giuseppe Granata, Biagio Francescone, Felice di Lorenzo, Francesco Sagliano, Francesco Barbato e Luigi Mandato.
Al termine dell’udienza con l’abbreviato sono stati inflitti 13 anni a Giovanni Della Corte; 12 anni ciascuno per Gianluca Bidognetti e Nicola Garofalo; 11 anni di carcere per Nicola Kader Sergio e Giosuè Fioretto; 10 anni per Franco Bianco; 9 anni e 4 mesi ciascuno per Giuseppe Granata e Vincenzo Di Caterino; 8 anni ciascuno per Agostino Fabozzo, Federico Barrino, Francesco Cerullo; 7 anni ed 8 mesi di reclusione per Francesco Sagliano; 5 anni e 4 mesi ciascuno per Salvatore De Falco, Giacomo D’Aniello e Antonio Lanza; 5 anni ciascuno per Giovanni Stabile, Antonio Stabile, Marco Alfiero, Onorato Falco, Clemente Tesone; 4 anni ciascuno per Katia e Teresa Bidognetti, Carlo D’Angiolella, Felice Di Lorenzo, Francesco Barbato, Luigi Mandato, Vincenzo D’Angelo. Sono stati mandati assolti Emiliana Carrino, Annalisa Carrano, Francesca Carrino.
L’indagine
Nell’arco di oltre tre anni di investigazioni, è stata accertata l’operatività delle citate fazioni documentando una pluralità di reati fine che sarebbe stata posta in essere da soggetti riferibili al consesso criminale casalese (fazioni BIDOGNETTI e SCHIAVONE), che, a oggi, conserverebbe una struttura piramidale ben definita.
L’attività ha consentito di appurare, tra l’altro:
- lo svolgimento di incontri tra esponenti di vertice delle citate fazioni criminali finalizzati a concordare il ripristino di una “cassa comune”, pur mantenendo la loro sostanziale autonomia nei termini operativi, economici e territoriali storicamente a loro appartenuti;
- che un indagato avrebbe curato la pianificazione e la realizzazione delle dinamiche criminali della fazione SCHIAVONE al fine di attuare il controllo capillare del territorio e il reperimento di somme di denaro indispensabili per il sostentamento del gruppo, affermandosi quale punto di riferimento non solo i per gli affiliati ma anche per coloro che, sebbene non contigui al sodalizio, consapevoli della sua posizione di vertice, a lui si sarebbero rivolti al fine di giungere alla soluzione di controversie e dinamiche private;
- che la fazione dei Bidognetti:
- sarebbe ancora organizzata su vincoli di sangue e guidata dai familiari più stretti dello storico capo clan Francesco Bidognetti, da tempo detenuto in regime di 41-bis. In particolare, il clan sarebbe stato gestito da uno dei figli, il quale, sebbene detenuto, avrebbe utilizzato telefoni cellulari illegalmente introdotti nella struttura carceraria – e rinvenuti con l’ausilio di personale del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, impartendo ordini e direttive funzionali alla direzione della fazione e a promuovere le attività illegali eseguite da sodali liberi, arrivando a organizzare un progetto omicidiario in pregiudizio di un noto affiliato, allo scopo di ridimensionare la sua ascesa criminale all’interno del clan. Altre due figlie dello storico capoclan, in ragione della loro appartenenza alla famiglia, avrebbero invece continuato a percepire stabilmente somme di denaro provento delle diverse attività delittuose;
- eserciterebbe il controllo delle attività delle agenzie di onoranze funebri dell’agro aversano, in virtù di accordi criminali stretti già negli anni ’80, attraverso un “consorzio di imprese”, che è stato sottoposto a sequestro;
- condurrebbe attività usuraie (con la cessione di somme di denaro in favore di imprenditori e cittadini, che, sebbene in condizioni di forte difficoltà economica, si sarebbero visti applicare tassi d’interesse finanche del 240%);
- avrebbe avuto la disponibilità di armi attraverso le quali avrebbe espresso la propria forza intimidatrice per assicurarsi il controllo del territorio.
Oltre al reato associativo, a carico di esponenti delle due fazioni sono stati contestati reati fine quali estorsioni in danno di numerosi operatori commerciali (al fine di piegarne la volontà, un imprenditore sarebbe stato attinto alle gambe da colpi d’arma da fuoco), traffico di sostanze stupefacenti e contestuale controllo dell’attività di cessione di droga realizzato da terzi soggetti, che sarebbero stati costretti a versare denaro a esponenti del Clan per garantirsi la gestione delle piazze di spaccio.