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Imprenditori antiracket alla sbarra per favori al clan: “Quali collusi, sono vittime da sempre”

CASAPESENNA. Nuova udienza del processo per concorso esterno in camorra a carico di tre imprenditori originari di Casapesenna, ovvero Armando Diana e i nipoti Antonio e Nicola Diana , quest’ultimi figli di Mario, ucciso 30 anni fa dalla camorra e ritenuto vittima innocente.

Fino all’inchiesta i Diana, imprenditori del settore dei rifiuti e di trasporto, erano considerati imprenditori anti-clan, tanto da aver creato una fondazione che organizza eventi anti-camorra. Nell’ultima udienza i tre testimoni della difesa hanno ribadito che i Diana hanno subito minacce dalla camorra e non sono mai stati collusi. I Diana hanno dovuto sottostare anche a richieste estorsive della mala acerrana all’epoca dell’insediamento della Montefibre.

L’indagine, condotta dalla Squadra Mobile di Caserta e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, attraverso le dichiarazioni di numerosi collaboratori di Giustizia, ha permesso di ricostruire l’esistenza di un rapporto operativo tra il mondo dell’imprenditoria e la fazione ZAGARIA del clan dei Casalesi

Il patto criminale stretto col clan avrebbe consentito – secondo l’accusa – anche ai Diana di godere di una protezione e di una tranquillità operativa tali da permettere agli stessi di raggiungere, nell’area territoriale di competenza del clan, una posizione imprenditoriale privilegiata.

In cambio, secondo le risultanze investigative, il clan avrebbe ottenuto dai DIANA prestazioni di servizi e utilità, quali il cambio assegni e la consegna sistematica di cospicue somme di denaro, necessarie ad alimentare le casse dell’organizzazione camorristica riconducibile a Michele Zagaria. Accuse che ora sembrano lontane dalla ricostruzione emersa in aula nell’ultima udienza.