MARCIANISE. Poteva dare ordini anche dai domiciliari. La Cassazione non cede alle richieste del vecchio ras e rigetta la richiesta di revoca dei domiciliari per Gennaro Buonanno, ritenuto elemento di spicco del clan Belforte, ora agli arresti domiciliari a Roma per motivi di salute.
Nelle scorse ore la Seconda Sezione Penale della Suprema Corte, presieduta da Alfredo Mantovano, ha reso note le motivazioni con le quali lo scorso 21 luglio ha rigettato la richiesta di revoca della misura della detenzione casalinga per il 72enne padrino dei Mazzacane. Una decisione giunta proprio nei giorni in cui diventava ancora più solida la posizione da pentito del figlio, Giovanni Buonanno, che nelle settimane precedenti con una sorprendente lettera al carabiniere che lo aveva arrestato aveva comunicato la volontà di pentirsi.
Quell’arresto era avvenuto proprio in contemporanea al padre, sebbene uno fosse a Marcianise e l’altro già recluso ma nella Capitale. La difesa aveva fatto leva sia al Riesame che in Cassazione sulla ininterrotta detenzione di Buonanno e sulle sue condizioni di salute, quali elementi idonei a contrastare le dichiarazioni rese dalla persona offesa. Benchè detenuto da circa 30 anni, molti dei quali ai domiciliari, Buonanno secondo i giudici aveva la possibilità di comunicare e dare ordini grazie a una rete di complici arrivando addirittura a decretare il tasso di usura da imporre alla vittima.
Il ricorso non è stato dichiarato dunque ammissibile, benchè Buonanno sia stato assolto in Appello recentemente dal reato di camorra.
L’inchiesta
Secondo quanto emerso dagli accertamenti realizzati dai finanzieri della Compagnia di Marcianise, un imprenditore avrebbe incassato gli assegni provento di usura per conto dei Buonanno; si tratta di una somma di 85mila euro che sarebbe poi stata riutilizzata dall’imprenditore per le proprie attività commerciali. I finanzieri hanno anche sequestrato agli indagati, su ordine del Gip, la somma di 240mila euro.
La vittima è un imprenditore di Marcianise cui i Buonanno avrebbero prestato soldi con tassi di interesse dal 120% al 130% annui. “In particolare all’operatore economico sono stati fatti vari prestiti per un totale di 60mila euro, e in un solo anno ha restituito a titolo di interesse 30mila euro. Per l’accusa in un’occasione, tra novembre e dicembre del 2015, la vittima sarebbe stata costretta a salire in un’automobile e minacciata di morte dai Buonanno per farsi consegnare i soldi del prestito, oltre che un “regalo” di 2mila euro per il clan Belforte in occasione delle festività natalizie; fatto non concretizzatosi perché l’imprenditore si è opposto” secondo la tesi della Dda.
Dalle indagini, è emerso che l’imprenditore avrebbe anche minacciato la vittima prima che la stessa venisse ascoltata dalla Guardia di Finanza, affinché ammettesse falsamente di aver consegnato gli assegni provento di usura ad un altro imprenditore e che quest’ultimo li avesse poi dati all’imprenditore per normali rapporti d’affari.