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In cella per errore, apre locale: “Pizza era il mio desiderio. Ora è la mia seconda vita”

CAPUA/SAN NICOLA LA STRADA. E’ una storia di riscatto e di un sogno coltivato nel momento più duro: quello in cui da innocente si ritrovi dietro le sbarre. C’è questo e molto altro dietro la storia di Mario Tirozzi, imprenditore nel settore della floricoltura di Capua, in cella ingiustamente per 21 mesi.

Scagionato completamente e uscito dall’incubo ora ha aperto un locale in viale Carlo III, lato San Nicola la Strada. Si chiama “Apprendista Pizzaiolo” ed è lui stesso a spiegare questa scelta.

“Sono innocente, vorrei una pizza”

““Sono innocente. E vorrei una pizza” Ho pensato a questa frase così intensamente che a volte mi sembrava di essere diventato pazzo. Immaginate di svegliarvi una mattina e di perdere il lavoro, le amicizie, la libertà. Immaginate che per un errore giudiziario (un giudizio, appunto), la vostra vita venga distrutta come un martello feroce contro un vetro. Letteralmente strappata via dalle mani, lasciandomi solo e disperato con 2 o 3 pezzettini in mano. L’unica speranza è stata per me il ricordo della verità. “Sono innocente. E vorrei una pizza” E ve lo dico: in 3 anni tanti sapori si dimenticano. Ma la pizza no. La pizza è come l’innocenza: te la tieni dentro, marchiata a fuoco! Io oggi vi racconto il mio dramma per spiegare il mio sogno realizzato.” ha spiegato presentando il suo locale.

“Con Apprendista Pizzaiolo ho avuto il più grande riscatto del mio dolore, del mio sacrificio e della mia battaglia. Ho riottenuto ciò che era mio. Volevo dire a tutti questa frase da troppo tempo. Perché quando la vita ti toglie la vita stessa e tu ti aggrappi comunque alla verità, alla fine ce la fai. Adesso è così: ho creato Apprendista Pizzaiolo, funziona perché è sincero, non tiene segreti. E ogni giorno, quando entro o sento il rumore della serranda che si alza, sorrido tra me e me e penso ancora: “Sono innocente. E vorrei una pizza””

L’arresto e l’errore giudiziario

L’incubo è durato quasi due anni. Fino a quella maledetta notte del settembre 2015 Mario Tirozzi era un imprenditore del settore floricoltura che conduceva una vita normale.

Proprio la sua attività, ora fallita gli ha inconsapevolmente, dato l’assist per finire in un vortice giudiziario assurdo: l’arresto, i mesi in cella con persone problematiche e poi la clamorosa e sacrosanta assoluzione. Il commerciante capuano ha raccontato a Quarta Repubblica la sua odissea durata 21 mesi (“653 giorni di carcere e 137 di arresti domiciliari fuori regione”).

Davvero toccante l’intervista rilasciata a Nicola Porro: “Da innocente dico che il carcere è una brutta esperienza. Ero in cella con due stranieri e un ragazzo malato di mente e facevo la doccia solo una volta a settimana con acqua nera”. In questi infernali arriva l’altra mazzata, una condanna a 7 anni con rito abbreviato, poi l’Appello fa chiarezza su tutto: quei rapporti commerciali con l’Olanda non avevano certo attinenze al mondo della droga, ma alla sua realtà attività, quella di fioraio.

Circostanze ovviamente documentate con fatture ed elementi certi: “Purtroppo Italia prima ti arrestano e poi cercano le prove. Io sono stato arrestato e la mia azienda è fallita, ora sto aprendo una pizzeria con alcuni amici per ripartire”.