SANTA MARIA CAPUA VETERE. La Terza Sezione Penale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, collegio C, ha emesso sentenza di condanne nei confronti di Ferdinando Del Gaudio e Rocco Giordano, accusati di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio. Sono difesi dagli avvocati Luca Viggiano e Carlo De Stavola.
Stangata per il ras Del Gaudio, ritenuto il capo del gruppo che faceva riferimento proprio alla sua famiglia, i Bellagiò: a lui sono stati inflitti 15 anni di reclusione, mentre per Giordano – uno dei partecipanti dell’organizzazione – la pena è stata fissata in 5 anni di reclusione. Entrambi sono stati giudicati con rito ordinario.
Le indagini
L’inchiesta ha svelato l’esistenza di un’organizzazione criminale riconducibile alla famiglia DEL GAUDIO (comunemente detti i “Bellagiò”), operativa nel territorio di Santa Maria Capua Vetere, dedita all’acquisto, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti del tipo cocaina ed hashish;
– individuare, nell’ambito della citata famiglia, due sottogruppi riconducibili a due dei fratelli che, pur condividendo le vicende inerenti al reperimento della sostanza stupefacente da immettere sul locale mercato, provvedevano autonomamente a collocare lo stupefacente presso i diversi spacciatori;
– appurare che i pusher, vincolati all’acquisto della droga da spacciare dal gruppo dei DEL GAUDIO ed al prezzo dagli stessi imposto, provvedevano poi a distribuirla ai propri clienti attraverso il sistema del lavoro “a privato”, cedendo le singole dosi di stupefacenti a favore di clienti consumatori, dietro ordinazioni a mezzo telefono;
– rilevare che la consegna degli stupefacenti, previa acquisizione del prezzo pattuito, avveniva in luoghi concordati del comune sammaritano (es. all’esterno dell’anfiteatro campano, nonché di noti Bar) e dei paesi limitrofi;
– riscontrare come uno dei partecipi, uomo di fiducia del capo-promotore, si occupasse anche di recuperare le somme inerenti alla cessione dello stupefacente dai singoli pusher;
– trarre in arresto in flagranza di reato 4 persone e sottoporre a sequestro diversi quantitativi di sostanze stupefacenti.
I contenuti delle conversazioni captate, che avvenivano attraverso un linguaggio criptico e convenzionale, decodificato dai Carabinieri (lo stupefacente veniva indicato facendo ricorso a termini del tipo “auto”, “macchine”, “scarpe”, “tuta”, “telefoni”), hanno consentito di appurare e fotografare le modalità con cui gli indagati realizzavano l’illecita attività.