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Il nuovo volume di Don Raffaele D’Addio: “S. Alfonso M. de Liguori e le missioni popolari”

Il nuovo volume di Don Raffaele D’Addio: “S. Alfonso M. de Liguori e le missioni popolari”

Arienzo. Dal 25 giugno nelle librerie e negli store online Arienzo/Diocesi di Acerra Don Raffaele D’Addio, giovane sacerdote della Diocesi di Acerra e vicario parrocchiale presso l’Arcipretura di S. Andrea Apostolo in Arienzo, ha dato alle stampe “S. Alfonso M. de Liguori e le missioni popolari”, a ricordarci ancora una volta, come si legge nella presentazione, che Alfonso “è tra i più grandi santi e missionari di tutto il Settecento”, la sua opera rappresenta “una pietra miliare nella storia della vita e della spiritualità cristiana”, e il suo carisma una “strada” per la nuova evangelizzazione. Don Raffaele è anche responsabile del Museo Alfonsiano diocesano e sta continuando gli studi presso l’università pontificia di Roma.

 

 

 

Con questo studio, pubblicato presso la Case editrice Tau, egli “intende fare sintesi nella vasta produzione alfonsiana e mostrare ai fedeli come il Santo ha saputo mettere i suoi talenti a servizio del Vangelo. Pittura, musica, poesia restano una via privilegiata per evangelizzare e favorire l’incontro con Dio”. Tra i grandi missionari del Settecento, Alfonso “è il più personale, l’unico creativamente innovatore”. Lo scrive il vescovo di Acerra, monsignor Antonio Di Donna, nella prefazione, facendo notare che “egli traccia, come sappiamo, un vero regolamento” perché le missioni vengano compiute con “un metodo diverso e originale”. Per Di Donna, Alfonso “era certamente figlio del suo tempo, di quel secolo dei Lumi”, per cui “l’intelligenza prima di tutto: illuminare, farsi capire soprattutto dalla povera gente, poi scuotere la volontà”, affinché le missioni fossero “finalizzate a suscitare una “vita devota” quotidiana: meditazione al mattino, visita al Santissimo e alla Madonna la sera” e non si risolvessero in un “un fuoco di paglia”. Perciò il “più napoletano dei santi”, come è stato chiamato Alfonso,“rifiutava il pulpito in alto nella navata; preferiva una cattedra bassa, vicina alla gente, per parlare familiarmente alla portata di tutti”, e “anche i contenuti delle missioni erano incentrati sull’essenziale”, dando “fiducia al popolo” e preferendo alla città la periferia, le “terre piccole, dove vivevano gli abbandonati”. Possa allora lo “scritto del giovane prete della diocesi di Acerra realizzare quella nuova evangelizzazione che lo Spirito e i pastori stanno indicando da tempo”, è l’augurio finale del presule. Dal giornale della Diocesi di Acerra “La Roccia”