Tute firmate e scarpe alla moda, così il clan arruola i suoi guaglioni
MARCIANISE. Non era ancora l’epoca degli influencer e delle griffe che cambiano al ritmo vorticoso di un tweet, ma tra gli anni Novanta e i Duemila il capo di abbigliamento era già uno status symbol ed il modo più semplice per attirare giovani smaniosi di guadagnare.
Così il clan Belforte avvicinava i suoi guaglioni, quelli che poi avrebbero fatto carriera nel clan come Pasquale Aveta che prima di pentirsi nel 2011 era diventato uno dei riferimenti criminali del sodalizio sia per lo spaccio che per i fatti di sangue.
Così il sannicolese ricostruisce il suo ingresso nelle fila dei Mazzacane nell’ultima ordinanza sul traffico di droga in provincia di Caserta: “Sono entrato a far parte del clan Belforte dal 1998 durante la mia detenzione al carcere di Santa Maria Capua Vetere, Ero detenuto per evasione e per un definitivo di rapine e furti senza collegamento con la camorra ma sono stato detenuto insieme a Bruno Buttone e Gennaro Buonanno, che all’epoca già facevano parte del clan Belforte. Eravamo nella stessa cella del reparto Tevere, poi sono andato al Volturno insieme a Buttone che mi prese in simpatia
In cella con noi c’era anche Michele Cangiano che mi voleva bene e quindi mi ha proposto di far parte del clan.
Già quando stavo in carcere mi hanno iniziato a far regali: tute, scarpe e qualche volta 100mila lire. Poi quando sono usciti Cangiano e Buttone mandavano i soldi a casa a mia mamma, anche a Natale, Pasquale ed agosto. Da quando Bruno è uscito dai domiciliari mandava a casa mia anche 500 euro al mese”