Correva l’anno 1992 e che la mafia avesse attaccato a breve Falcone e Borsellino era nell’aria, era solo una questione di tempo, pochissimo tempo.
Si racconta che una sera Paolo Borsellino disse in senso ironico, ma allo stesso tempo reale all’amico iseparabile Giovanni Falcone, queste parole:
“Giovanni, ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte: Ci sono tante teste di minchia: teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello… quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero… ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti… Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge”
NOI NON DIMENTICHIAMO
Giovanni Falcone, nel corso della sua ultima intervista pubblica rilasciata nella trasmissione televisiva di Corrado Augias, in onda su Rai tre sosteneva con amarezza che “per essere credibili bisogna essere ammazzati”. Una credibilità che, per l’appunto, molti politici gli avevano riconosciuto solo dopo il suo martirio, “23 maggio 1992”.
L’intervista a Giovanni Falcone
Giudice Falcone, questo è un ottimo libro, un libro le dirò subito sorprendente e anche scandaloso, scandaloso nel senso che vedremo poi, spero verrà fuori nel corso della conversazione. Un libro che non soltanto è stato apprezzato e soprattutto che si vende bene, ma che l’ha esposta anche ad alcune critiche. Perché un giudice deve scrivere un libro? Non sarebbe meglio che un giudice operasse secondo giustizia e tacesse?
Io non ho parlato se non in via incidentale di specifici episodi riguardanti la mia attività professionale. Io mi sono limitato a parlare di un fenomeno, non tanto direi proprio solo sullo sfondo ci sono i processi. Al centro vi è proprio la mafia in quanto fenomeno criminale. E credo che sia importante parlarne, parlarne correttamente perché non vi è dubbio che vi sia una maggiore sensibilità sociale rispetto a questo gravissimo problema, ma spesso manca alla correttezza dell’informazione.
Posso dirle una cosa quindi cominciamo a vedere nel merito alcuni dei punti, che sono moltissimi, di questo suo libro. E’ una sensazione quasi personale, però condivisa. Lo so, noi abbiamo imparato a conoscerla quando lei viveva barricato laggiù e forse l’abbiamo un po’ mitizzata. Adesso che sta al ministero, e che scrive ,come lei scrive di tanto in tanto editoriali sulla stampa,le sue posizioni sembrano più i morbide, più sfumate. Non vorrei dire che ci ha un po’ deluso negli ultimi tempi, ma sicuramente è cambiato. Lei lo sa? ne è consapevole?
No, io credo che sia mutato invece l’atteggiamento un po’ globale, un po’ complessivo rispetto a questi problemi. Spesso capita che se la realtà non è qual è la si desidera o quale la si pensa, è la realtà che è sbagliata e non siamo noi.
Dott. Falcone, ho detto prima e questo libro che mi è parso scandaloso, volevo precisare perché… perché lei dimostra in più punti, potrei citarli, una profonda stima , intellettuale ,nei confronti della mafia.
Conoscere un fenomeno non significa né condividerlo né tantomeno stimarlo. Io mi sono sforzato di mettono in luce per quello che mi è apparso, ma certamente non le condivido le finalità.
Certo che non ne condivide le finalità, ma lei arriva a dire delle cose che a me sono parse insomma i gravi. È la prima volta che leggevo, se non altro da una da una fonte così autorevole. A un certo punto la scrive testualmente “la mafia sostituito in quell’isola lo Stato, impedendogli di profondare nel caos” è una affermazione enorme…
Non è che non sono gravi queste affermazioni, sono gravi i fatti sottesi a queste affermazioni…
Lei dice basta parlare della mafia come di una piovra o di un cancro dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia…
Ci rassomiglia a chi?
Appunto a chi? Ai siciliani, ai meridionali, agli italiani… Assomiglia a chi?
Assomiglia ai Palermitani, ai Siciliani, agli Italiani, all’uomo in genere… Intendevo dire, né più né meno, che non sono poi tanto diversi dai comuni mortali… Non sono dei marziani, ecco, questo intendevo dire.
Falcone, però Lei dice anche una cosa, dice che la mafia affascina i siciliani ma perché lì affascina?
Ma… intendevo dire che l’ideologia, chiamiamola così, la subcultura che è sospesa al fenomeno mafioso non è altro che la sublimazione, ma soprattutto la distorsione, di valori che in sé non sono censurabili, che sono propri di vari strati delle popolazioni del mezzogiorno d’Italia e soprattutto della Sicilia. Se così è, è chiaro che la mafia in certa qual misura, non è estranea al tessuto sociale che la esprime. Spesso, nella sostanza, spesso condizionati dalle esigenze contingenti della lotta politica siamo portati a dare di questi problemi e in particolar modo dei rapporti fra mafia e politica una lettura che è, in realtà, inadeguata rispetto alla gravità del problema. E la gravità del problema è data dal fatto che è la mafia porre in condizioni di autonomia le regole del gioco.
Scusi, dott. Falcone, le volevo chiedere una cosa. Lei dice nel Suo libro che in Sicilia si muore perché si è soli. Giacché lei fortunatamente ancora tra noi, chi la protegge? Questo significa che per essere credibile, bisogna essere ammazzato in questo Paese?
Non dicevo questo… Fino ad ora sono vivo..
E’ vero che bisogna proteggersi molto, Lei ne parla a lungo nel libro, della protezione, dell’essere sempre coperto… Questo è il paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba per fortuna non esplode, la colpa è tua che non l’hai fatta esplodere!
No per carità, guardi noi questo non lo deve dire. Questo è molto amaro, è forse la cosa più amara che…
È già stato scritto e stato detto!
Giudice Falcone, è vero o è un luogo comune che la mafia sia riuscita arrivare ai vertici del potere quindi anche a Roma
Anche questa, se mi si consente, è una frase grave, che però rispetta un luogo comune. Che cosa significa essere arrivati al vertice del potere? Che cosa è il vertice del Potere In che periodo è andato al vertice del Potere? Tutte queste cose dovremmo dire, insomma ecco quello che mi sforzo io di dire è questi: cerchiamo di sfuggire dagli schemi mentali, cerchiamo di togliere di mezzo i luoghi comuni e parliamo sul concreto, di determinate cose, per cercare prima di tutto di chiarirle a noi stessi e poi di chiarirle agli altri