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‘Una vita per il teatro’ Ciro Andolfo si racconta (intervista)

Caserta.  Ciro Andolfo uomo umile con la passione per il teatro. Capace di immedesimarsi in qualunque ruolo, il suo carattere che spazia dal burlone all’uomo serio gli consente di entrare in più ruoli distanti e divergenti tra loro, riuscendo a farli propri. E così, Ciro Andolfo, “uomo” dallo sguardo mite  che sprigiona consapevole dolcezza, si trasforma nel burbero capoclan, facendo vivere in chi lo segue l’inferno di questa nostra società.

Abbiamo incontrato Ciro e abbiamo sscambiato quattro chiacchiere con lui.

 

Salve Ciro come va? Inizierei questa intervista con una semplice domanda:

  1. Chi è Ciro Andolfo fuori dal set? Artisticamente con quale ruolo nasce?

Premetto che Ciro Andolfo è una persona molto tranquilla, riservata, ma molto altruista:sempre disponibile con tutti, e in particolar modo, attiva nel sociale.

Fra impegni lavorativi, familiari e problematiche varie, trovo poi il tempo di dedicarmi allo studio per essere pronto alle mie partecipazioni ad eventi, commedie e spettacolo in generale.

Sono molto attento a tutto ciò che succede intorno a me, essendo un grande osservatore, memorizzo ogni cosa che mi prende mentalmente. Artisticamente nasco come attore brillante. La mia vena comica, ancora molto presente, è nata con me. Infatti, i miei genitori, spesso mi raccontano che già all’età di cinque anni, mi piaceva far ridere i miei amichetti con smorfie varie, ballando o mimando chissà cosa. Ricordo che mi piaceva molto fare imitazioni, ma non tanto nella voce, quanto nelle movenze e gestualità delle persone:queste mie caratteristiche le ho poi plasmate sui vari personaggi da me interpretati.

 

  1. Ha interpretato ruoli diversi, mimetizzandosi nella parte affidatagli come quella dell’uomo violento, papà capoclan, della camorrista nella serie televisiva andata in onda su Sky “Le Camorriste 2″. Come riesce a interpretare un ruolo che va al di là della suo carattere?

Ognuno di noi possiede delle doti innate:se queste vengono percepite prima da noi stessi, per poi avere la fortuna di poterle esprimere artisticamente, il resto viene da sè.

 

In merito al personaggio del boss delle serie televisiva su Sky, da me interpretato, è stato un ruolo duro, faticoso, ed impegnativo sia mentale che fisico. Quando il regista e la produzione mi convocarono per descrivermi il personaggio e tutta la storia, già dopo pochi attimi mi sentivo concentrato e dentro al ruolo. Dovetti poi lavorare sulla mimica facciale e gesti da boss, ma il tutto partendo dalla concetrazione mentale. Un aneddoto:dopo un anno della messa in onda su Sky, mi contattò la vera ex camorrista facendomi  complimenti anche del suo papà, per come avevo reso bene il personaggio.

 

Raramente mi rivedo in ciò che faccio, ma questo del boss non posso fare a meno di rivederlo, perché mi ha dato tanto, sia artisticamente parlando, ma anche personalmente:mi ha fatto capire il perché a volte persone buone, insospettabili, si ritrovano a sbagliare loro malgrado.

 

  1. Le riesce difficile questa cosa?

 

Interpretare il boss è solo frutto di tanti anni di teatro e impegno. Il passare degli anni e della maturazione del viso, ha portato vari registi teatrali a darmi ruoli forti, da guappo o cattivo. Ovvio che bisogna aggiungere tanta passione, pazienza, sacrifici e dedizione, e tutto ciò rende poi più agevole la concentrazione.

 

  1. Trent’anni nel teatro. Com’è nata questa sua passione che poi si è rilevata parte fondamentale della sua vita?

 

La mia passione per il teatro nasce per caso, così come tutte le cose belle. Frequentavo un’associazione cattolica dei padri Domenicani del mio quartiere di Napoli. Stavano mettendo su un recital sulla passione di Cristo. Era il periodo dell’avvicinarsi a Pasqua, ricordo che mi avvicinò uno degli addetti allo spettacolo e mi chiese di partecipare come ruolo del mendicante che aveva solo pochissime parole da dire, accettai anche se non ero del tutto convinto e pronto.

 

Ma devo dire che quando andai alle prove, dopo aver finito, durante il mio ritorno a casa, mi mancava il palco, mi mancava quella magia delle prove e dello stare con altra gente nel teatro. E il giorno del debutto fu come entrare in una favola ed anche se la mia fu una piccolissima partecipazione, ero felicissimo. Poi il mio carattere solare, sempre con la battuta pronta e molto creativo, mi portò a farmi notare da un regista che mi volle come uno dei personaggi principali nella commedia “Non ti pago”:fu quello il mio debutto ufficiale.

 

Da lì iniziò tutto, grazie anche alla mia famiglia ed ai miei compagni di palco che vedevano in me una dote ed un passo in più a loro. Forse avevano ragione?Chissà. Ma posso dire che dopo tantissimi anni la mia favola continua

 

  1. Che cos’è per lei la recitazione?

 

Per me la recitazione è uno studio continuo ed è tutto. È cultura, ossigeno, pura e vera emozione, è terapia, amore, passione e scuola di vita.

 

Io da ragazzo ero timidissimo pur essendo allegro e solare con tutti, ma arrossivo subito se venivo osservato. Grazie alla recitazione ho imparato ad avere fiducia in me stesso e coraggio di alzare lo sguardo. Oggi un po’ di timidezza mi è rimasta, ma devo dire che il teatro è stata la mia terapia.

 

  1. Com’è la vita attraverso i riflettori?

I  riflettori sono per me come le lampade abbronzanti, fanno male se usati male. Il mondo dello spettacolo è stupendo ma molto complesso. Va vissuto con serietà e professionalità, ma senza prendersi troppo sul serio, ed allora si, un po’ di riflettori ben vengano! Senza mai dimenticare che le cose serie e importanti sono quelle che bisogna affrontare nel quotidiano a luci della ribalta spente.

 

  1. Qual è stata la prima scena che ha girato nel mondo del cinema?

Nel mondo cinematografico sono entrato a farne parte nel 2013, con una piccola comparsa nella fiction televisiva di “Un posto al sole”. E fu per me, che venivo dal teatro, come entrare nel paese delle meraviglie: così come la prima volta che sono entrato negli studi RAI.

 

Dal vedere nel teatro solo poche luci, qualche telecamera e le quinte, quello cinematografico è tutto un mondo a parte, meraviglioso ed infinito.

 

  1. Nel 2014 hai partecipato ad un “Cortometraggio su Massimo Troisi ” cene vorresti parlare?

Quando mi proposero di girare un cortometraggio sul sommo Massimo Troisi, per me fu come realizzare un sogno ad occhi aperti. Da grande fan ed estimatore, nonché conterraneo del Grande, avendo qualche anno prima recitato con uno dei fratelli di Massimo, ebbi poi la gioia e immensa fortuna di visitare la sua casa a San Giorgio con tanti cimeli, ricordi…che non riesco a descrivere perché tatuati nella mia anima.

 

  1. Arriviamo ai “Bastardi di Pizzofalcone”. Com’è stato lavorare sul set con grandi attori ?

In questi ultimi sette anni nel mondo della tv e cinema, ho avuto l’immensa gioia di essere stato convocato per tante belle fiction o film. Dai Bastardi di Pizzofalcone a Gomorra, L’amica geniale, I soldati, Martin Eden e tanti altri, quindi ho avuto la grande commozione di condividere scene con grandi attori, quali:Alessandro Gasmann, Gianmarco Tognazzi, Gianfranco Gallo, Marco Giallini, Elena Sofia Ricci, la grande Stefania Sandrelli, Serena Rossi, Lino Guanciale e tanti altri ancora di livello massimo.

Come tutti gli attori di Un posto al sole. Ed a loro aggiungo anche registi di fama come Marco Tullio Giordana, Saverio Costanzo, Marco D’Amore, e potrei citarne tanti altri.

Spiegare cosa si prova non è semplice, bisognerebbe chiedere al cuore, alla mia anima e il solo battito interno farebbe intendere cosa provo ed ho provato su tanti set. Tutto ciò è solo un regalo alla mia passione e tenacia e ringrazio tutti coloro che mi han dato e mi danno le occasioni suddette.

 

  1. Sappiamo che da pochi mesi sta collaborando insieme all’associazione “La Fenice” ad un concorso di bellezza per ragazzi e ragazze in carrozzella, la prima tappa si è svolta negli studi televisivi di Italia Mia. Complimenti a tutto lo staff per questa bellissima iniziativa. Quali emozioni ha provato quella sera, che aria si respirava?

Come dissi a qualche suo collega, nella vita artistica, ma non solo, bisogna anche scendere dal palco, sottrarsi ai riflettori e telecamere, e non voler essere sempre ed apparire ad ogni costo. È anche bello fare qualcosa per il sociale, per i meno fortunati di noi, ma sempre fatto col cuore. Il concorso per i disabili in carrozzina deve essere un’altra lezione di vita. Quando mi fu proposto di essere socio-fondatore della “Fenice “, subito accettai. Stare con loro mi ha dato tanta energia, voglia di vivere e dare valore a ciò che si ha.

 

I concorrenti, provenienti da varie parti d’Italia, così come tutti i disabili, sono persone come noi anzi, spesso più allegre e positive. Impiegati, casalinghe, musicisti, sportivi, han preso parte alla prima tappa.

 

L’aria che si respirava in trasmissione era come stare in famiglia, tutti a proprio agio, si sentiva la commozione dei partecipanti e di tutti noi organizzatori e pubblico: come ad una bella festa con sorrisi e fratellanza.

 

È un concorso di miss e mister, ma un plauso speciale a loro che con la felicità stampata sui volti, fanno sentire disabili a chi ha barriere mentali. Prima di abbattere quelle materiali, bisogna eliminare quelle nei pregiudizi delle persone cosiddette…normali.

 

Grazie per questa chiacchierata ci vedremo a breve sul grande schermo e in giro pe lo stivale nel concorso “Fenice” a presto.

 

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