Capua/Grazzanise. Il casinò sulle sponde del Volturno. Meno elegante e suggestivo di quelli di Saint-Vincent o Montecarlo, nemmeno reclamizzabile, perché illegale. Certamente non meno ricca, stando alle dichiarazioni dell’uomo che gestiva quei tavoli, Francesco Zagaria.
All’epoca “Ciccio e’ Brezza” era un facoltoso imprenditore con interessi nell’edilizia e nel settore caseario, da quattro mesi è un collaboratore di giustizia e una fonte preziosa di informazioni per la Dda. Tra le prime consegnate al pm della Dda Maurizio Giordano in autunno ci sono proprio quelle sulla bisca che ha cominciato a gestire nel 2011, prima dell’arresto di Michel Zagaria.
“Per aprire la bisca servivano almeno 7-8mila euro al giorno. Erano i soldi necessari per finanziare i giocatori che si sedevano al tavolo e che non avevano contanti”. Nel Casinò Zagaria si giocava soprattutto a poker ma anche allo Chemin de Fer. Si alternavano spesso persone vicine al clan, ma anche imprenditori, faccendieri e qualche nome conosciuto della politica
La bisca, ereditata da altro gestore, andava in pratica da sola come guadagni per questo Zagaria decise di nominare un fedelissimo che “si occupava di portare il denaro che gli consegnavo, di riscuotere le vincite, di ricevere gli assegni dei giocatori perdenti, di contattare i debitori e così discorrendo. Carlino era il mio factotum”.
La bisca era – secondo Zagaria – una straordinaria lavatrice di denaro sporco, visto il vortice di contanti e assegni che girava. Basti pensare che per ogni mano di poker, ogni giocatore versava 100 euro e fino ai duemila euro di debito ci si poteva far finanziare dalla stessa bisca grazzanisana. Una quota degli utili finiva dritta dritta a Casal di Principe, nelle mani di Carminotto Schiavone, all’epoca libero.