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Tondi, ressa in tribunale: contuso avvocato. Emilio pagherà 500mila euro, sospesa patria potestà

L’aggiornamento

Santa Maria Capua Vetere. Dovrà pagare 500mila euro come provvisionale. Questa è una delle pene accessorie stabilite dalla Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha condannato a 27 anni di carcere Emilio Lavoretano, imputato per l’omicidio della moglie Katia Tondi, la 31enne strangolata il 20 luglio del 2013 nella sua abitazione di San Tammaro.

La condanna inflitta è di poco più alta della richiesta avanzata dal pm Domenico Musto durante la requisitoria dello scorso 27 novembre di 25 anni; la Corte ha anche condannato Lavoretano a pagare una provvisionale di 500mila euro ai familiari della donna, sospendendo inoltre la patria potestà dell’imputato in relazione al figlio piccolo, che la sera del delitto era in camera da letto e aveva appena otto mesi. Tensione in tribunale: appena pronunciato il dispositivo Emilio Lavoretano ha provato a sottrarsi alle telecamere appostate. Nella ressa è rimasta contusa una penalista che si è fatta refertare.

Alla lettura della sentenza erano presenti i genitori della vittima, costituitisi parte civile (difesi da Gianluca Giordano); in aula anche Lavoretano, accanto al suo legale Natalina Mastellone. Lavoretano ha affrontato il processo da uomo libero, unico imputato. Un processo basato su indizi convergenti, andato avanti tra perizie di medicina legale relative all’ora della morte, in cui un contributo rilevante è stato fornito anche da qualche testimone. Tra gli elementi che hanno probabilmente pesato sulla decisione della Corte, la consulenza, richiesta dalla Procura, dell’ex generale del Ris dei Carabinieri Luciano Garofano, che anche il perito nominato dallo stesso tribunale ha sostanzialmente ripreso. Secondo Garofano, Katia Tondi sarebbe stata strangolata (mai trovato l’oggetto utilizzato per ucciderla) tra le 18 e le 19 del 20 luglio, in un arco temporale, in cui – secondo l’accusa – Lavoretano era in casa e avrebbe ucciso d’impeto la moglie. Lavoretano, agli investigatori della Squadra Mobile di Caserta intervenuti nell’abitazione della coppia, disse di aver trovato Katia che «era già morta».

Poi aggiunse di essere uscito poco prima delle 19, quando la moglie era ancora viva, di essere rincasato intorno alle 20, e di aver rinvenuto il corpo della donna accasciato vicino alla porta di casa, lasciando intendere che la morte sarebbe avvenuta tra le 19 e le 20.

A conferma del suo alibi, l’imputato consegnò anche uno scontrino della spesa, e fu inizialmente creduto, salvo poi essere smentito proprio dalla perizia di Garofano. Altro elemento che potrebbe aver inchiodato Lavoretano è la testimonianza dei titolari del negozio di ortofrutta che si trova nei pressi dell’abitazione della Tondi, che in aula, nell’aprile del 2018, dissero di aver visto, il pomeriggio in cui fu uccisa Katia Tondi, il marito uscire in auto con il padre, almeno due ore prima che l’ambulanza del 118 arrivasse a casa della Tondi, ovvero tra le 20.20 e le 20.30. Dichiarazioni che hanno confutato quelle del padre di Lavoretano, un ex carabiniere in passato in servizio anche a Casal di Principe, che aveva detto di non aver visto il figlio quel pomeriggio. Secondo l’accusa, padre e figlio si sarebbero messi d’accordo sulla versione da fornire.

IL PRIMO LANCIO

Santa Maria Capua Vetere. Ventisette anni di reclusione, due in più della richiesta della Procura. Il giudice Giovanna Napoletano concorda con l’impianto accusatorio del pm Domenico Musto, anzi ne acuisce la portata e determina una pena di 27 anni per l’omicidio di Katia Tondi: il colpevole della morte, per i giudici di primo grado, è dunque Emilio Lavoretano, il marito della giovane.

E’ questo il verdetto per il delitto avvenuto nel luglio 2013 nel Parco Laurus a San Tammaro. Per l’ex gommista, sotto processo davanti alla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, il pubblico ministero non ha ipotizzato l’aggravante della premeditazione. La Procura incriminò Lavoretano, quale maggiore sospettato di omicidio volontario commesso con le modalità dell’impeto, per uno scatto d’ira. Un raptus per aver perso la pazienza per qualcosa di cui non è dato al momento sapere. Per la difesa, rappresentata dall’avvocato Natalina Mastellone, si è sempre trattato di un processo indiziario con elementi labili anche sotto il profilo dell’ora del decesso per la quale è stato necessario predisporre una superperizia che non ha chiarito molti dubbi.

Emilio si è sempre difeso dicendo di essere uscito poco prima delle 19, quando la moglie era ancora viva, di essere rincasato intorno alle 20, e di aver rinvenuto il corpo della moglie accasciato vicino alla porta di casa; a conferma del suo alibi consegnò anche uno scontrino della spesa, e fu inizialmente creduto.