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Tre pentiti e le intercettazioni in carcere: così l’Antimafia è ripiombata su Inquieto

Casapesenna. Tre collaboratori di giustizia, diverse intercettazioni e un tesoro ancora da scoprire. E’ questa la road map entro la quale si è mossa l’ultima indagine della Dda che ha portato sabato sera all’arresto di Vincenzo Inquieto, l’idraulico di Casapesenna fermato dagli uomini della Dia a Napoli all’aeroporto internazionale di Capodichino, con l’accusa di far parte del clan guidato dal boss dei Casalesi Michele Zagaria.

Inquieto sperava di aver espiato il suo debito con la giustizia con la fine della condanna per favoreggiamento seguita alla storica cattura dell’ex primula rossa. L’idraulico era infatti il proprietario dell’abitazione di via Mascagni a Casapesenna dove il capoclan ha trascorso gli ultimi mesi della sua latitanza, e dove fu stanato il 7 dicembre 2011 dalla Polizia di Stato; in quella circostanza anche il 51enne Inquieto venne tratto in arresto per favoreggiamento. E’ proprio seguendo quest’ultimo e la moglie Rosaria Massa – anch’essa arrestata e condannata per favoreggiamento – che gli investigatori della Polizia di Stato, coordinati dalla Dda, riuscirono a catturare il boss.

Gli inquirenti sapevano che la famiglia Inquieto, formata da Vincenzo e dai fratelli Giuseppe e Nicola, era molto vicina a Zagaria, e ne proteggeva la latitanza. Quest’ultima indagine si muove proprio nel solco delle ultime inchieste che legano il capo dei Casalesi alla famiglia Inquieto: dai legami con la Romania (dove viveva il fratello Nicola) alle ditte da favorire fino alla costante ricerca del tesoro del boss, solo in parte requisito.

Tre sono i pentiti sentiti nel corso dell’indagine: il parigrado ed ex alleato Antonio Iovine, il braccio destro Massimiliano Caterino e l’ex vivandiere Generoso Restina. Proprio quest’ultimo, che ha ospitato il boss nel suo appartamento di via Colombo a Casapesenna fino al 2008, disse che tra Michele Zagaria e la famiglia di Vincenzo Inquieto vi erano “rapporti quasi fraterni”. Anche Inquieto – e’ emerso – recapitava i pizzini del boss ai fratelli di quest’ultimo, e viceversa. Zagaria si fidava ciecamente di Inquieto e dei fratelli, tanto da affidare loro i suoi guadagni illeciti da investire nel mattone in Romania.

Non solo. Agli atti dell’inchiesta ci sono anche delle intercettazioni in carcere (Zagaria è detenuto a Tolmezzo al 41bis) che confermerebbero parte dell’impianto accusatorio.