Marcianise. Lui e la cognata di Belforte dal collega per “aiutare” la moglie del boss finita in cella. Sono cinque certificati tutti falsi ad incastrare il medico Giuseppe Di Maio, arrestato lo scorso 28 maggio dopo la condanna definitiva della Quinta Sezione della Corte di Cassazione. Le motivazioni della sentenza sono state rese note in questi giorni: oltre al camice bianco sono stati condannati anche Camillo Belforte, primogenito del boss Domenico e sua cognata Carmela Allegretta.
Il terzetto ha imposto a un medico dell’Asl di Marcianise il rilascio di cinque certificati (firmati dal gennaio al maggio 2005) e che atstavano false visite effettuate a Maria Buttone per patologie psichiatriche. Lo stesso professionista avvicinato da Di Maio e dai Belforte aveva provato a sottrarsi adducendo di non essere il medico competente. Una melina inutile.
La situazione si è complicata, infatti, quando Di Maio si è presentato presso l’ufficio del collega accompagnato da Carmela Allegretta, cognata di Camillo Belforte. Proprio il figlio del boss Mimì Mazzacane – secondo le indagini – aveva incaricato la sorella della moglie di ottenere i certificati medici per la madre, Maria Buttone, all’epoca dei fatti detenuta.
Proprio in quella circostanza Di Maio dichiarò che aveva già redatto certificati simili, come peraltro riferirà poi anche il collaboratore di giustizia Michele Froncillo. Proprio nel 2004 “o’ Nditto” ottenne gli arresti domiciliari, grazie ad una consulenza del medico condannato, stando al suo racconto. Nella circostanza finita poi la condanna, invece, Di Maio fece da intermediario per convincere il collega ad “aiutare” la Buttone, finita in carcere. Al medico ha evidenziato di non poterlo fare più proprio in virtù di aiuti già concessi. La pena confermata dalla Cassazione per Di Maio e Belforte venne quantificata in 5 anni di reclusione.