Marcianise. Un posto di lavoro alla nipote in una ditta vicina al clan Belforte: così la famiglia del boss Mimì Mazzacane avrebbe ripagato il medico recalese Giuseppe Di Maio per i certificati compiacenti. E’ questo uno degli aspetti ripercorsi nel processo terminato con la condanna dello psichiatra dell’Asl CE1, di Camillo Belforte (figlio di Domenico) e di sua cognata Carmela Allegretta.
Nei confronti dei tre ieri i carabinieri della Compagnia di Marcianise, hanno eseguito un ordine di carcerazione firmato dall’ufficio esecuzioni penali del tribunale sammaritano. I provvedimenti sono scaturiti dalla decisione della Corte Suprema di Cassazione di rigettare il ricorso promosso dai predetti avverso la Sentenza del Maggio 2018 che ne disponeva la carcerazione per i reati di concorso in falsità materiale e falsità ideologica commessi dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Per questi reati Belforte e Di Maio dovranno espiare 5 anni, Alegretta 4 anni e mezzo.
Secondo l’accusa Di Maio, in qualità di medico in servizio presso il Reparto di Igiene Mentale dell’A.S.L. di Marcianise, assoggettato dalla forza intimidatrice dell’appartenenza di Allegretta e Belforte al clan camorristico, ha, su indicazione di questi ultimi, funto da intermediario per la redazione di falsi certificati in favore di Maria Buttone, madre di Camillo Belforte e moglie di Domenico Belforte, nonché personalmente redatto certificati medici attestando, in favore della stessa Maria Buttone, patologie inesistenti o enfatizzando patologie esistenti al fine di fargli ottenere, in sede giudiziaria, benefici detentivi.
Nel corso del procedimento è emerso il coinvolgimento anche di altri medici che erano spinti da Di Maio a firmare i certificati “benevoli” nei confronti di alcuni personaggi del cartello marcianisano.