Marcianise (Alfonso Crisci). Due ore d’aria e un’altra di socialità con gli altri detenuti. Trascorre così la vita dietro le sbarre di Domenico Belforte, che proprio venerdì scorso ha festeggiato dietro le sbarre il suo 62esimo compleanno. Il ventunesimo di fila trascorso ininterrottamente in varie case circondariali, l’ultima delle quali è a Sassari.
Al penitenziario di massima sicurezza di Bancali, il boss è ristretto al regime del carcere duro, ma quasi un anno e mezzo fa una circolare del Dap, poi divenuta esecutiva gli ha dato la possibilità di vivere tre ore della sua giornata fuori dalla sua cella. Due sono quelle d’aria, che servono per preservare “il benessere psicofisico” del detenuto, anche se ristretto al 41bis, un’altra è di socialità nel corso della quale lo stesso Belforte può pranzare in compagnia o intrattenersi nelle salette. Tre i detenuti con i quali di solito lo storico padrino dei Mazzacane trascorre questi sessanta minuti.
Il ricorso del Ministero: “Sono troppe”
Contro questi “benefici” ha presentato ricorso anche il Ministero della Giustizia che aveva evidenziato come in realtà le due ore d’aria dovesse essere un tempo massimo e non comprendessero anche il supplemento di socialità. Lo scorso 21 marzo la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha invece confermato questa organizzazione della giornata del capoclan: le motivazioni sono state depositate lunedì scorso
“Si tratta – hanno motivato gli ermellini – di due distinte situazioni che hanno differente finalità e che, anche nell’impianto normativo, non risultano fungibili tra di loro: la permanenza del detenuto all’aria aperta risponde ad esigenze igienico-sanitarie, mentre lo svolgimento delle attività in comune in ambito detentivo è valorizzata nell’ottica di una tendenziale funzione rieducativa della pena, che non può essere del tutto omessa neppure di fronte ai detenuti connotati da allarmante pericolosità sociale, come appunto quelli sottoposti al regime del 41bis”.
In Sardegna da quasi 3 anni
Belforte è stato trasferito quasi tre anni fa nel penitenziario di massima sicurezza sardo direttamente da quello di L’Aquila, dopo che nella sua famiglia qualcuno, a partire dal fratello Salvatore aveva deciso di intraprendere un percorso (poi revocato) di collaborazione con la giustizia. Mimì, suo fratello maggiore, non aveva mai dato seguito concreto a quei propositi pur dichiarandosi talune volte disponibile e autoaccusandosi di alcuni delitto.
In una istanza poi rigettato il boss marcianisano ha infatti fatto trapelare di temere per la propria incolumità in caso di permanenza in quel carcere, anche se nulla di concreto in tal senso è stato portato all’attenzione dei magistrati.