Marcianise. Per la difesa nelle intercettazioni non c’era la sua voce, ma i giudici non hanno dubbi. Quel cellulare trovato dai carabinieri con tanto di numero del ras memorizzato come “zio” è la prova del coinvolgimento nell’organizzazione che ha controllato fino a pochi mesi fa lo spaccio a Marcianise.
Sono queste le motivazioni con le quali lo scorso dicembre la Corte di Cassazione rigettò l’istanza di revoca degli arresti domiciliari presentata da Francesco Piccirillo. Il deposito è avvenuto nella giornata di lunedì quando ormai il procedimento, denominato “Unrra Casas” attende solo il verdetto di primo grado, almeno per coloro che hanno scelto il rito abbreviato.
Tra questi c’è appunto Francesco Piccirillo, per il quale il pm della Dda ha invocato addirittura 12 anni, e l’altro protagonista di questa vicenda, Giovanni Pontillo che di anni ne rischia invece 20 e che viene considerato dalla Procura Antimafia uno dei capi dell’organizzazione. Dall’Antimafia e non solo, visto che, nel cellulare rinvenuto nel corso dell’attività dai carabinieri, il numero di Pontillo era presente nel cellulare di Piccirillo, uno smartphone Samsung, e memorizzato come “zio”.
La difesa aveva evidenziato che il numero dal quale erano partite le intercettazioni non era in realtà quello del 28enne del rione Marte e che l’individuazione, anche nel successivo dialogo con De Sivo, era avvenuta esclusivamente sulla base del riconoscimento vocale.
Tesi smontata sia dal Riesame che dalla Suprema Corte: i giudici hanno descritto Piccirillo come un addetto alla vendita del dettaglio dell’hashish per conto del gruppo con il sistema del “cavallo di ritorno”, grazie al rapporto diretto con Giovanni Pontillo, dal quale si recava, secondo l’accusa, per pagare quanto dovuto.