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L’esclusione di Nuzzo: ecco cosa dice la legge. Il caso del candidato al Tar del Lazio

San Felice a Cancello. Tempi brevi per conoscere il verdetto del TAR dopo il ricorso di Emilio Nuzzo che sarà presentato in mattinata a Napoli.ù

Il caso e la legge Severino

 

L’imprenditore fu destituito da sindaco dal prefetto di Caserta nel 2013 in seguito ad una condanna, inflitta nel 2012, ad un anno e sei mesi per porto abusivo di armi, fatto accaduto nel 2006,che fece scattare la legge Severino.

La legge Severino si applica a coloro che sono stati condannati in via definitiva per un delitto non colposo non inferiore a due anni. Nuzzo certamente è stato condannato, certamente in via definitiva, ma la pena non raggiungeva i due anni.

Il diritto di Emilio Nuzzo a candidarsi, appartenendo all’elettorato passivo, richiama un diritto sancito dalla Costituzione, non può certo essere tale diritto sospeso o impedito all’infinito, quindi la durata temporale è quella del doppio della pena inflitta, dunque per Nuzzo sarebbero stati tre anni di incandidabilità a decorrere dalla data della sentenza definitiva (2012) ma anche in questo caso, Emilio risulterebbe candidabile a tutti gli effetti, essendo trascorso più del tempo dovuto è previsto dalla legge, dunque i 3 anni.

In sintesi, questa legge stabilisce che i politici e gli amministratori pubblici condannati per reati come corruzione, concussione, abuso d’ufficio e peculato, non sono più idonei a ricoprire cariche politiche o pubbliche. Per questo non possono candidarsi e, se già eletti, perdono l’incarico. L’anticorruzione, ricordiamo, è uno dei principi cardine della legge Severino.

Tre sono i provvedimenti chiave della legge Severino: l’incandidabilità, la sospensione e la decadenza. Il primo viene applicato nei confronti di chi non è ancora stato eletto o chi non ha ancora un ruolo pubblico. Gli altri due, invece, vengono applicati quando la causa di incandidabilità sopraggiunge durante il mandato. L’articolo 179 del codice di procedura penale prevede che la riabilitazione possa venire concessa qualora il condannato “abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta”.

Ora indubbiamente vi è un vizio di forma da parte di Nuzzo, non avendo presentato il certificato di riammissione alla carica elettiva di Sindaco prima di presentare la propria candidatura.

Se Nuzzo sarà in possesso del regolare certificato rilasciato dal tribunale di competenza, in questo caso una leggera “dimenticanza” non dovrebbe pregiudicare la sua ammissione alla partita a San Felice a Cancello. Staremo a vedere se l’avvocato di Emilio Nuzzo saprà far prevalere i diritti del candidato a Sindaco, al momento lesi da un piccolo cavillo amministravo, che potrebbe costare molto caro in questa competizione elettorale all’imprenditore 50enne imprenditore di via Fiume.

 

La riabilitazione del tribunale di sorveglianza

 

La riabilitazione, come cita il codice penale “estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna”, può essere ottenuta soltanto dopo aver “adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato” e dopo aver dato “prove effettive e costanti di buona condotta”. Dopo il decorso dei tempi, gli avvocati di Nuzzo, avrebbero dovuto presentare la richiesta di riabilitazione al tribunale, il quale senza attriti gliela avrebbe rilasciata.

 

L’approfondimento ed il caso del Tar del Lazio dello scorso anno

 

Patteggiare senza essere riabilitati comporta il blocco della candidatura alle elezioni amministrative

Il Tribunale Amministrativo della Regione Lazio con la sentenza n.278/2018 stabilisce che in caso di pena patteggiata, non basti il decorso ordinario di cinque anni al fine dell’estinzione del reato, infatti per eliminare lo status di “incandidabile” è necessaria la sentenza riabilitatoria di un giudice.

Il caso in questione vede un candidato alle elezioni amministrative escluso dalla lista dei candidati a causa di uno dei criteri di incandidabilità contenute nel Decreto Legislativo 235/2012 all’articolo 10. In questo caso si tratta di patteggiamento in mancanza di riabilitazione.

Il candidato ha così deciso di ricorrere in quanto ritiene che la decisione della sottocommissione elettorale non ha tenuto conto del periodo di cinque anni decorso dalla pena, che secondo quest’ultimo comporterebbe l’estinzione per ope legis, facendo conseguentemente cadere l’ipotesi di incandidabilità.

Il ricorrente quindi ha sostenuto che l’estinzione del reato dopo tali termini renda inutile una sentenza di riabilitazione. I Giudici del Tribunale Amministrativo hanno però evidenziato come la legge non sia passibile di altre interpretazioni, visto che l’art.15 co.3 del suddetto D.Lgs cita chiaramente che “La sentenza di riabilitazione, ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale, è l’unica causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità e ne comporta la cessazione per il periodo di tempo residuo”.

I Giudici aggiungono inoltre che l’estinzione del reato e degli effetti penali derivanti, si distingue dalla sentenza di riabilitazione, quest’ultimo requisito essenziale per acquisire lo status di “candidabile”, in quanto per il primo è necessario esclusivamente il decorrere dei tempi, mentre per il secondo è richiesto il parere di un Magistrato, che deve provare oltre all’effetto estintivo della pena anche il continuarsi nel tempo della cosiddetta “buona condotta”.

Nel caso di specie inoltre, non è sufficiente che il soggetto non abbia commesso altri reati dopo aver patteggiato, in quanto è necessario l’accertamento del ravvedimento completo mantenuto nel tempo fino al momento della decisione del Magistrato.

Ergo, il TAR Lazio respinge il ricorso del candidato alle elezioni amministrative, in quanto in assenza dei criteri sopracitati permane lo status di “incandidabile”.