Marcianise. Per i giudici il clan Belforte non è un capitolo chiuso. Il pentimento dei boss non ha reciso del tutto i legami tra alcuni esponenti di spicco e la cosca. Su queste basi la Prima Sezione della Suprema Corte ha confermato il carcere duro per Gaetano Piccolo, 60 anni, uno degli storici boss del sodalizio dei Mazzacane.
Nei giorni scorsi sono state rese note le motivazioni con cui la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso nel quale ” o’ Ceneraiuolo”, difeso dagli avvocati Angelo Raucci e Mariano Omarto, aveva chiesto l’annullamento della proroga del regime carcerario del 41bis deciso il 30 agosto 2017 dal ministro della Giustizia.
Nel ricorso era stato evidenziato che il Tribunale di sorveglianza di Roma non ha tenuto conto delle emergenze processuali e della disgregazione del clan Belforte, conseguente all’apertura alla collaborazione di alcuni suoi esponenti di spicco, tra cui Salvatore Belforte e Camillo Belforte, che imponevano di ritenere interrotti i collegamenti tra il ricorrente e la criminalità organizzata dell’area dalla quale proveniva.
La Suprema Corte ha invece ritenuta corretta la decisione del tribunale di sorveglianza “soffermandosi in particolare sull’evoluzione consortile del clan Belforte, nel quale il ricorrente gravitava fin da epoca risalente e sui suoi collegamenti con i vertici attuali di tale sodalizio – nel cui contesto associativo Piccolo continuava a rivestire un ruolo di spicco – che continuava a mantenere immutata la sua capacità di controllo dell’area casertana in cui era storicamente presente, rispetto alla quale l’apertura alla collaborazione di Salvatore Belforte e Camillo Belforte non aveva prodotto gli effetti disgregativi dedotti dalla difesa”.