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Dalla lettera alle intercettazioni, gli sfoghi del boss aprono le porte alla Dda

Casapesenna. Il profilo di uomo privo di emozioni, che non si lasciava scalfire dagli eventi ormai lo ha perso. Il Michele Zagaria che sta scontando l’ottavo anno di fila dietro le sbarre sembra lontano da quello che si raccontava dell’ormai ex primula rossa. La vita del carcere duro ha minato le certezze dell’ex capoclan che nei mesi passati sarebbe stato addirittura sul punto di iniziare una clamorosa collaborazione.

Tra il 2016 e il 2017 il boss avrebbe raccontato in alcuni colloqui con i familiari, puntualmente registrati dalla Dda, il suo malessere per quello che stava succedendo sia al patrimonio della sua famiglia, minato dalle inchieste dei magistrati, sia a lui dietro le sbarre. Poco dopo arrivò il trasferimento da Opera a L’Aquila e quella lettera alla sorella Beatrice che si concluse con un “lo farei senza alcun problema. Questa non è vita”. Una frase che fece balenare una resa del boss, mai concretizzatasi.

Le intercettazioni contenute nel provvedimento di sequestro notificato questa mattina dalla Dia di Napoli, però non riguardano solo lui ma anche persone vicine a “Capastorta” ma libere.

Le attività investigative, che si sono avvalse di intercettazioni dei colloqui che i detenuti indagati  svolgevano in carcere con i familiari, di intercettazioni telefoniche ed ambientali degli indagati liberi e di minuziosi e complessi riscontri di natura bancaria e documentale, hanno consentito di accertare la riconducibilità dei beni in sequestro, sotto il profilo della diretta pertinenzialità, alle fattispecie di reato contestate agli odierni indagati, i quali presentano, altresì, un quadro reddituale di assoluta sproporzione rispetto al valore dei beni dagli stessi acquistati.