PIEDIMONTE MATESE. Capelli un po arruffati, sguardo intenso, sorrisino furbetto e una leggera barba su un viso d’angelo: è questo l’identikit del giovane scrittore emergente Francesco Lutri. Orgoglioso delle sue origini siculo napoletane, che gli hanno trasmesso l’amore per il mare, recentemente ha rivalutato la storia e la cultura della nostra terra, che ha cercato di trasmettere attraverso la sua prima opera letteraria. Facciamo quattro chiacchiere con Francesco Lutri, giovane scrittore talentuoso di Piedimonte Matese che nel suo primo romanzo, “Partenope”, parla di una ragazza vivace e ribelle che ha vissuto tutta la sua vita in Sicilia in assoluta spensieratezza. Ma con l’arrivo di Garibaldi, la sfortuna di essere imparentata con i Borbone delle Due Sicilie la costringe a ritirarsi a Napoli. Qui si innamorerà della città, ma non avrà abbastanza tempo per goderne: presto le dinamiche politiche e ambigue del nascente governo la spingeranno a riconsiderare la sua identità e ad affrontare la decadenza della sua vita idilliaca, proprio come il regno di cui, a suo malgrado, è una “principessa”. Come scrive la sua casa editrice Aletti:
- Ciao Francesco, perché non ci parli un po’ di te?
– Non c’è molto da dire, sono un ragazzo di ventidue anni che studia all’Università di Napoli. Non ho idee chiare su quello che potrebbe essere il mio futuro, anzi, quest’ultima parola è ciò che mi dà più ansia al mondo. La mia ruota intorno a un fine semplice, forse banale, povero, immaturo. Ogni mia azione è finalizzata a godermi il mare e l’estate che verrà. Il mare è sempre stato il mio lume, è sempre stato quel traguardo che mi ha permesso di combattere contro la scuola e il freddo inverno. E’ ciò che fondamentalmente mi tiene in vita, non campo per nient’altro.
- Quando hai cominciato a scrivere?
– Ho sempre avuto una mente “cinematografica” e prima della nascita di mio fratello ero circondato da donne, per cui potevo giocare solo con me stesso e con la mia fantasia. Che bello … ora che ci penso, ho speso la mia infanzia a giocare da solo, sputando e facendo rumori strani mentre immaginavo “roba”. Capii che avevo tanta “roba” in zucca ma provavo il disagio di non poterlo farlo vedere agli altri. Quello che mi creavo in testa potevo vederlo solo io. Perciò ho iniziato a sfogarmi prima con i disegnini e poi ho iniziato a scrivere. Già alle elementari scrissi una sorta di “diario” su un superstite ebreo dai campi di concentramento nella seconda guerra mondiale. Poi fu la volta delle medie. Scrissi tre, quattro pagine su una versione personale della battaglia delle Termopili e poi continuai a scrivere altri racconti sempre di carattere storico. Per me infatti la storia è un bel laboratorio di ambientazioni e atmosfere in cui calare le proprie vicende.
- “Partenope” è il tuo primo romanzo. Qual è stata l’idea che gli ha dato vita?
– Per rispondere devo brevemente parlare del mio percorso post liceale. La scelta dell’Università fu un pretesto per andare a Napoli, lo dico con sincerità. Il punto è che dopo il liceo avevo una grande voglia di “evadere” dal mio borgo selvaggio, questa bella e maledetta Piedimonte Matese. Sapevo che Napoli sarebbe la meta ideale della mia evasione. E c’avevo azzeccato, perché Napoli mi ha dato tutto. Mi ha rigenerato fisicamente e spiritualmente, ho imparato a cucinare, a suonare il mandolino, a contemplare gli scorci e la natura, ad amare la storia della mia terra e delle mie origini. E avendo nelle mie vene sangue siciliano e napoletano, sono rimasto davvero amareggiato dal fatto che il nostro passato sia stato così oscurato dalla storiografia accademica, coerentemente ad un processo di “damnatio memoriae”, etichettando il Mezzogiorno come da sempre povero e arretrato. Invece ho scoperto che il Regno delle Due Sicilie è stato in realtà un regno ricco e florido, avanzato sotto molti punti di vista. Basta vedere i primati sociali, culturali e tecnico amministrativi dei Borbone di Napoli. Poi vengo a sapere che l’Unità d’Italia ha preso il nostro Sud e ne ha fatto una colonia. E non lo dico io, ci sono documenti che lo attestano. Non è un caso che, dopo l’Unità d’Italia, nel Sud inizi la diffusione della criminalità (dovuto al fatto che i Piemontesi hanno concesso cariche istituzionali ai camorristi , fatto che ho inserito e che svolge un ruolo importante nell’intreccio del racconto), l’emigrazione di massa dei meridionali, la chiusura delle fabbriche fino ad arrivare al fenomeno del brigantaggio. Non è una coincidenza. Ho pensato che il miglior modo di trattare un argomento così delicato fosse attraverso un racconto di mia invenzione, con tutti gli elementi che ne facessero una storia avvincente, “cinematografica”, in modo da rendere la cosa completamente avulsa da orientamenti meridionalisti predeterminati ed evitare un malinteso che potrebbe etichettarmi come filoborbonico, secessionista e nostalgico.
- È stato difficile arrivare alla pubblicazione?
– A essere sinceri non tanto. C’era questa selezione di opere inedite in corso. Quindi, senza neanche crederci molto, ho inviato il mio racconto presso l’Editore e dopo un po’ mi hanno informato che me l’avrebbero pubblicato, quindi in questi termini è stato molto semplice.
- Quali sono le tue idee a proposito del mondo editoriale in Italia e all’estero?
– Purtroppo mi trovo solo all’inizio della mia esperienza di scrittore, sempre se posso definirmi tale, quindi non ho ancora le conoscenze adeguate per poter dare una risposta esauriente.
- Ti ha aiutato l’utilizzo dei social network per la promozione del tuo libro?
– Lo spero.
- Dove si possono acquistare i tuoi libri?
– I miei libri sono reperibili in tutti i bookstore online: IBS , la Feltrinelli, Unilibro, LibroCo.italia, Amazon.
- Stai lavorando a qualche altro romanzo?
– Ho intenzione di scrivere ancora due libri che mandino avanti le avventure di Partenope, fino a parlare del brigantaggio, che forse è stato il fenomeno più controverso della vicenda del Risorgimento italiano e che penso sia degno di un occhio di riguardo. Quindi per ora sarei contento di riuscire a produrre una trilogia.
- Se ora avessi dinanzi a te un quaderno pieno di righe vuote, cosa scriveresti?
– In questo momento scriverei una specie di poesia o uno sfogo personale su quanto mi abbia stufato l’inverno e di quanto stia aspettando con ansia un raggio di sole primaverile che squarci il velo grigio di questo brutto cielo.
10.Qual è il libro che ti ha lasciato un segno?
– Sicuramente Il Piccolo Principe, poi il Vangelo, che è davvero un bel libro.
11.Scrivere è un modo per parlare di te o suggerire qualcosa agli altri?
– Io scrivo ciò che sono e quindi, personalmente, non suggerisco nulla di proposito, ma se qualcuno volesse trarre dei suggerimenti da ciò che scrivo, ben venga.
12.Cosa vuol dire scrivere?
Per me scrivere significa : parlare quando non puoi farlo con la bocca, disegnare quando non puoi farlo con un foglio e una matita, fare un film quando non puoi farlo con una telecamera.
- Ti ringrazio per il tempo dedicato, vuoi dirci ancora qualcosa?
Il libro cerca di essere anche “autobiografico” in certi punti, soprattutto quando parla della Sicilia e di Napoli, dei loro scorci e delle loro atmosfere, cose che infatti conosco bene essendo legato a vita a questi due posti. Per il resto, ripeto, ho cercato di scrivere un racconto quanto più bello e avvincente possibile. Spero di esserci riuscito, in modo che il libro piaccia, anche ai giovani, che spesso quando sentono la parola “Storia” pensano a qualcosa di noioso. Ma qui la Storia, nonostante sia molto importante, è solo un palcoscenico, una scenografia nel quale prendono forma personaggi, intrecci e soprattutto emozioni: rabbia, tradimento, tristezza, gioia, amore, cose che da sempre travalicano ogni arco spaziotemporale. Inoltre non bisogna mai avere vergogna di sapere quello che siamo stati: L’infinita guerra tra Nord e Sud Italia è proprio ciò che quella “damnatio memoriae” intendeva evitare. Ma è evidente che non è tenendo nascoste le scomode verità che si tiene unito un popolo. L’ignoranza divide, solo la conoscenza unisce.