Casapesenna. La nota della Fondazione Mario Diana.
“La Fondazione Mario Diana, in relazione alla vicenda giudiziaria che ha coinvolto il proprio Presidente e Vice Presidente, conferma piena fiducia nella Magistratura e nel corso della giustizia ed esprime solidarietà e vicinanza alle famiglie di Antonio e Nicola Diana.
La Fondazione confida nel celere accertamento della verità e conferma il proprio impegno nel sostenere e proseguire le attività e le iniziative programmate nell’ambito della formazione dei giovani e della sostenibilità e tutela ambientale a beneficio della comunità in cui opera.
Ringraziamo enti, associazioni e persone semplici che, attraverso i loro messaggi e la loro vicinanza, hanno espresso fiducia e stima nell’operato della Fondazione. Assieme a loro vogliamo continuare ad essere un segno di speranza per il nostro territorio.
Fondazione Mario Diana onlus”
La storia dei Diana: da paladini a indagati
Da imprenditori antimafia a soggetti collusi con il clan dei Casalesi: e’ un vero e proprio fulmine a ciel sereno per le associazioni antimafia l’indagine della Dda di Napoli che ha portato agli arresti domiciliari per concorso esterno in camorra, il 77enne Armando Diana e i nipoti Antonio e Nicola Diana, fratelli gemelli di 51 anni. Le misure cautelari emesse dal gip sono state eseguite dalla Squadra Mobile della Questura di Caserta. Antonio e Nicola sono figli di Mario, imprenditore edile ucciso nel 1986 dalla camorra e ritenuto vittima innocente, in quanto si sarebbe opposto – come accertato nella sentenza definitiva – alle richieste economiche delle cosche casalesi allora in ascesa; nel nome del papà, i gemelli Diana hanno creato una Fondazione che organizza eventi anti-camorra e ogni anno assegna delle borse di studio a giovani svantaggiati.
I Diana erano considerati imprenditori anti-clan; peraltro Antonio Diana è cognato del collaboratore di giustizia Michele Barone, ex fedelissimo del boss Michele Zagaria, ma neanche questa vicinanza aveva mai scalfito il ruolo di veri e propri testimonial della legalità; più volte i Diana, soprattutto Antonio, hanno denunciato l’illegalità diffusa nel Casertano e l’ingerenza della camorra nell’imprenditoria. Nel 2010 Legambiente nominò Antonio Diana ambientalista dell’anno. Nella loro azienda, i Diana hanno anche assunto Massimiliano Noviello, figlio di Domenico, imprenditore ucciso nel 2008 dai killer dell’ala stragista dei Casalesi guidata da Giuseppe Setola perché aveva denunciato e fatto arrestare gli estorsori della camorra. Non solo, tra i dipendenti dei Diana figura anche il carabiniere che arresto’ il sanguinario killer della fazione Bidognetti. Una posizione rilevante sul piano socio-economico e culturale che l’indagine della Dda di Napoli (coordinata dal procuratore aggiunto Luigi Frunzio e dai sostituti Alessandro D’Alessio e Maurizio Giordano) ora mette in discussione.
Il patto e l’intervento del clan
Per gli inquirenti i tre imprenditori avrebbero stretto già dagli anni ’90 un patto criminale con i Casalesi, in particolare con il gruppo del boss Michele Zagaria, originario di Casapesenna come i Diana. Il patto avrebbe permesso ai Diana di godere di una protezione e di una tranquillità operativa tali da permettere loro di raggiungere una posizione imprenditoriale privilegiata; in cambio il clan avrebbe ottenuto dai Diana prestazioni di servizi e utilità, quali il cambio di assegni e la consegna sistematica di cospicue somme di denaro, necessarie ad alimentare le casse dell’organizzazione di Zagaria. Per gli inquirenti i Diana versavano somme al clan, non tangenti ma corrispettivo per i servigi resi. Come quando, proprio grazie all’intervento del clan, riuscirono ad evitare una richiesta di pizzo proveniente dalla famiglia camorristica Russo.