Portico di Caserta. Rullo sui tini. Colpi intensi e il suono grave della botte. L’eco metallico ma armonico delle falci. Il “capoparanza”, direttore di orchestra, scandisce con perfetto tempismo il grido “Ohì”. È Sant’Antuono a Portico di Caserta. È tempo di Carri, Cippi e Pastellessa. È tempo di riscendere in strada e seguire quel ritmo primitivo e fuori dal tempo che, ogni anno, ravviva il suo fascino, quasi come se i secoli ne rinnovassero la magia. Ai bottari, maestri esecutori su strumenti inusuali della terra come botti, tini di legno e piccole falci di metallo, il compito di scandire il lento procedere del corteo dei carri.
Due ritmi e due forme
Il ritmo essenziale che deriva dal gioco di contrappunti è ciò che rende la festa di Sant’Antuono unica nel suo genere. Non è ritorno al passato, ma la sensazione di trovarsi fuori dal tempo, immersi in un vortice di vitalità e passione per la tradizione che superano i confini scanditi dal passare dei secoli. Oggi come centinaia di anni fa, il sacro e il profano che generano la tradizione si uniscono in una straordinaria amalgama di rituali e simboli. L’uscita del Santo barbuto con il maiale affianco precede il momento pagano della sfilata dei carri, vera e propria processione di ritmi. Due riti, due forme, quella cristiana e quella pagana, unite nella richiesta di protezione, al Santo e alla Terra.
E poi, il festoso esplodere dei fuochi. Gli occhi rivolti al “ciuccio”, al “maialino”, alla “signora di fuoco”. Una festa di colori incalzata dal lento procedere dei carri su cui si continua a suonare.
Si alza il sipario. La passione, l’antico si fanno suono. La tradizione si fa festa. E’ tutto pronto! Ohì!
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