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Si oppone a blitz antidroga in casa sua, verdetto per giovane madre

Casapesenna. Ricorso respinto, rimane la condanna. In queste ore la settima sezione penale della Corte di Cassazione ha reso note le motivazioni con le quali due mesi fa ha rigettato l’istanza presentata da Elvira Santafata, la giovane madre di Casapesenna fermata nel corso di un blitz antidroga nell’agosto 2017.

 

La vicenda

Proprio nella sua dimora i militari dell’Arma trovarono oltre a cocaina e hashish anche due  due pistole sceniche (una a salve, l’altra ad aria compressa) per conto di terzi. Il blitz dei carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Casal di Principe scattò la sera del 17 agosto 2017 in via Manzoni a Casapesenna. I militari dell’Arma, nel corso di un servizio volto a contrastare i fenomeni di spaccio di stupefacenti, effettuarono una perquisizione domiciliare presso l’abitazione della donna che oppose resistenza all’ingresso dei militari insospettendoli ulteriormente.

 

Nel corso della perquisizione furono trovati un sacchetto in cellophane contenente cocaina per un peso di 44 gr. circa, occultato all’interno di in giubbotto nascosto in un armadio, 0,4 gr. di hashish, rinvenuta all’interno di un porta cd nascosto nell’autovettura di proprietà dell’arrestata,  1 pistola a salve priva del tappo rosso, 1 pistola ad aria compressa priva del tappo rosso, materiale vario per il confezionamento delle dosi e  500 gr. di bicarbonato utilizzato per il taglio dello stupefacente. Elvira Santafata, nel corso delle operazioni, stando alla ricostruzione delle forze dell’ordine, dopo aver spintonato un militare, tentò di scappare ma venne bloccata dai carabinieri. La giovane tornò subito dopo a casa e poi venne sottoposta a processo per i fatti di quella sera.

 

I risvolti giudiziari

Lo scorso marzo il gip del tribunale di Napoli Nord aveva emesso la sua sentenza condannando la 33enne alla pena di quattro anni di reclusione e 24mila euro di multa per detenzione di stupefacenti e resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. L’imputata aveva presentato un’istanza evidenziando l’erronea applicazione della legge penale, ma il ricorso è stato dichiarato innammissibile in quanto presentato persolmanete e quindi per un difetto di legittimazione processuale.

 

Dall’agosto 2017 infatti i ricorsi possono essere presentati soltanto da un difensore abilitato e per questo la Suprema Corte non ha preso in esame l’istanza, confermando di fatto la decisione del tribunale aversano.