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Ucciso dal clan per errore, per lo Stato non è vittima. Fratello va al ministero

San Cipriano d’Aversa. Protesta da tre giorni all’esterno del ministero dell’Interno Arturo Della Corte, fratello di Adriano, 18enne ucciso nel 1984 per errore da un commando del clan dei Casalesi, che aveva scambiato la sua auto per quella del bersaglio prescelto, ovvero il nipote del fondatore del clan Antonio Bardellino. Della Corte chiede da anni che il ministero riconosca il fratello come vittima innocente della criminalità organizzata, uno status che gli darebbe il diritto di percepire una somma a titolo di vitalizio.

 

Il Viminale però ha risposto no, visto che la domanda di riconoscimento sarebbe stata presentata tardivamente. Tutto si gioca sull’interpretazione di una norma entrata in vigore nel 1998, che concede un termine di 10 anni ai familiari delle vittime innocenti per proporre domanda di indennizzo; termine che, secondo un parere rilasciato oltre un anno fa dall’Avvocatura dello Stato su richiesta del Viminale, dovrebbe iniziare a decorrere dal momento in cui emerge la “matrice mafiosa del delitto”. Nel caso Della Corte non vi è ancora una sentenza definitiva che riconosca il 18enne quale vittima innocente, semplicemente perché come tanti altri delitti del genere avvenuti negli anni ’90, la magistratura ha archiviato il caso in assenza di prove e di pentiti che ne parlassero.

 

Nel 2014 però i familiari di Della Corte hanno presentato domanda, dopo essere stati interpellati dai responsabili di Libera, e nel 2016 il legale Giovanni Zara, che li assiste, ha fatto riaprire le indagini. “Dunque, prima di qualche anno fa – spiega Della Corte – non c’era alcun elemento, al di là della nostre consapevolezza, per dire con certezza che mio fratello fosse vittima innocente”.