Casal di Principe. Da venti anni esatti Francesco Schiavone è recluso dietro le sbarre, in regime di carcere duro, come si conviene ad un boss che ha seminato morte e terrore per anni nell’agro aversano. “Sandokan” sa che trascorrerà il resto della sua vita da recluso: non ha mai ceduto alla tentazione della collaborazione con la giustizia, nè si è ravveduto per quei delitti che hanno insanguinato la sua terra.
La sua mente, forse, non avrebbe mai immaginato che uno dei suoi figli avrebbe potuto intraprendere tale percorso. Per questo motivo il vecchio e sanguinario padrino ha accolto con rabbia la scelta del primogenito Nicola Schiavone di pentirsi. Uno stato d’animo, quello del fondatore dei Casalesi, emerso durante i colloqui nel carcere di Parma dove è detenuto e riferito anche dal quotidiano “Repubblica” che descrive uno Schiavone deluso soprattutto per cosa ha significato la scelta di Nicola all’interno della sua famiglia. Un nucleo numeroso ma diviso: con la moglie Giuseppina che ha lasciato l’abitazione di via Bologna, per aderire al programma di protezione, Ivanhoe che è rimasto a Casale abiurando la scelta del fratello maggiore, così come lo stesso Carmine, detenuto ininterrottamente dal gennaio 2013.
Imprenditori collusi nei verbali
In questo clima lo stesso Nicola Schiavone continua a parlare: un pentito estremamente qualificato, per la Dda, soprattutto per svelare i rapporti tra politica e imprenditoria anche in anni recenti. Tanti imprenditori sono già stati indicati e svelati, altri sono coperti da omissis. Ma altri muri, dopo quello del primo pentito in casa Schiavone, sono destinati a venire giù.