Caserta. Al teatro comunale di Caserta è stato accolto il nuovo vescovo, monsignor Pietro Lagnese.
Queste le parole del sindaco del capoluogo, Carlo Marino:
E’ con infinita gioia che accolgo il suo arrivo nella comunità casertana, terra che lei ben conosce e di cui è figlio. Nel suo primo messaggio lei ha chiesto di non essere lasciato solo. Io le prometto, eminenza: sarò al suo fianco, come persona e come sindaco di Caserta. Sempre, soprattutto in questo periodo difficile e dagli orizzonti incerti per tutta la nostra gente. L’esperienza delle ultime settimane, con i contagi in preoccupante risalita, paralizza le nostre famiglie e l’intera società, ma la fede ci porta a reagire. La fiducia, alimentata dalla preghiera, non ci abbandona.
Caserta è diventato il «popolo della speranza» e con lei, nostro faro di fede dopo che si è spento quello di monsignor D’Alise, lo diventerà sempre più. In quest’emergenza terribile, che sembra non aver mai fine, ci guidano le parole di Papa Francesco: «La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità». La pandemia ha, infatti, aperto una breccia nel nostro modo di guardare la realtà, spingendoci a una prospettiva diversa e particolare. E’ una cosa che sto osservando da mesi dal mio piccolo osservatorio di amministratore e di politico. Sempre più, come sindaco di Caserta, mi convinco che dobbiamo uscire dal nostro recinto angolare, dalla nostra «comfort zone»: è tempo di superare steccati.
La Chiesa è per noi un esempio: ci ha indicato una strada e ha introdotto un modo nuovo nella celebrazione dei sacramenti, nella catechesi, nell’attenzione ai poveri, nella pietà popolare, nelle parole usate. Dobbiamo farlo anche noi, laici e politici, uniti nella speranza di uscire presto dal buio. «La Chiesa è in uscita», ha detto Papa Francesco. Deve farlo anche il Comune di Caserta. In «uscita», verso le periferie, verso chi soffre, verso i giovani senza prospettiva, verso chi è lasciato in panchina. Insieme alla Chiesa di Caserta e al suo Vescovo, anche il Comune è pronto a mettere da parte l’ansia contingente per guardare negli occhi e ascoltare, sapendo rinunciare alle urgenze della politica per stare accanto agli «scartati». Il mio impegno, accanto a quello della Chiesa, è tutto rivolto a promuovere il bene comune, mettendo al primo posto ciò che unisce e non ciò che divide, archiviando antagonismi e personalismi, impegnandomi con responsabilità e perseveranza a lavorare per ciò che giova alla crescita di tutti, soprattutto dei più giovani. Siamo cristiani veri quando usciamo dal circuito delle nostre piccole relazioni e ci impegniamo a costruire la città degli uomini.
Dobbiamo lavorare con determinazione tutti – presbiteri, sindaci, amministratori, forze dell’ordine, scuole, partiti e organizzazioni sociali – per annodare nel nostro territorio una rete nuova di solidarietà e condivisione. Caserta è una terra ferita, con solchi profondi ancora aperti. Ma è un terreno buono e accogliente che porterà fioriture e raccolti abbondanti se riusciremo a mettere un buon seme in quei solchi. C’è urgenza di prepararlo. È necessario rimuovere le pietre dell’indifferenza e dell’egoismo, sradicare le erbacce della superficialità e dell’incoerenza, eliminare i luoghi comuni e le omologazioni alle logiche mondane, solo così il terreno si apre alla fecondità e al dono. Accoglienza, rispetto, giustizia, mitezza, umiltà: vorrei che queste virtù, che appartengono alla natura umana, fossero il vero brand della mia Caserta, comunicando senso di bellezza e felicità. Caro monsignor Lagnese, la sua attenzione solidale e benevola, nei confronti di poveri, ammalati, peccatori, costituisce uno stimolo per riappropriarci di uno stile che nasce dalla umanità e dalla nostra fede. Io coltivo il desiderio che il suo arrivo in questa diocesi, con la sua alta qualità apostolica, possa diventare il luogo dell’incontro fecondo tra la Chiesa e le istituzioni comunali, tra l’insegnamento di Gesù e la nostra vita amministrativa.
Siamo davanti a un bivio: costruire la città del rancore o quella della speranza. Io non ho una soluzione preconfezionata, ma credo che si possa partire da un’alleanza tra la comunità cristiana e la società laica, tra Chiesa e Comune. Anche se siamo diversi, vogliamo tutti la stessa cosa: il bene della gente. Si può partire da pochi obiettivi, concreti e urgenti. Il primo è il contrasto alla piaga dell’emarginazione e dell’esclusione sociale. Poi la sfida a costruire una nuova stagione per le politiche sociali e familiari. Infine l’impegno per il lavoro, soprattutto per i giovani. L’emergenza sanitaria è anche un’emergenza economica. Nel settembre scorso il Papa, disse che il «lavoro è dignità, il lavoro è amore». Il nostro impegno è dunque creare le condizioni per il benessere delle future generazioni. Bisogna sgombrare il campo dalle logiche del clientelismo, dalle lentezze della burocrazia, dalla invadenza della malavita organizzata e fare spazio alle nuove frontiere del lavoro, sviluppando modelli in linea con l’evoluzione della società e della tecnologia. Creare un lavoro libero, creativo, partecipativo, solidale, come ha ben affermato la Cei nel suo messaggio lo scorso primo maggio.
C’è da intervenire con urgenza e concretezza, mediante politiche appropriate. Oggi più che domani. Questo impegno è per la società civile, per noi amministratori, un atto di responsabilità. Ma lo anche per la Chiesa in quanto polis. Diamoci la mano, facciamoci coraggio. Con lei al nostro fianco, monsignor Lagnese, questo cammino sarà meno faticoso e incerto.