Costruttore crivellato di colpi: “Sono stati i due fratelli”

 

Cesa. Ben 17 anni dopo il tentato omicidio dell’imprenditore Vincenzo Esposito, la Cassazione condanna i fratelli Pota quali esecutori materiali del delitto.

Dopo 17 anni la Corte di Cassazione ha posto la parola fine ad una vicenda giudiziaria travagliata.

La Seconda Sezione Penale della Suprema Corteha dichiarato inammissibili i ricorsi di Pota Nicola e Pota Salvatore, condannandoli in via definitiva, per il tentato omicidio di Vincenzo Esposito.

La decisione è intervenuta ieri sera, al termine della discussione delle parti e la camera di consiglio.

Diciassette anni di attesa, processi annullati, rinvii e nuove sentenze. A maggio di quest’anno vi era stata la condanna dei i fratelli Nicola e Salvatore Pota, rispettivamente a 10 e 9 anni di reclusione, riconoscendoli colpevoli del tentato omicidio dell’imprenditore edile Vincenzo Esposito, noto in paese come “Scuccill” o “Enzuccio ’o parrucchiere”.

Vi era stato, poi, il ricorso per Cassazione, che ha confermato la sentenza di condanna.

L’agguato risale al 20 settembre 2008, all’angolo tra via Volturno e via Turati, a pochi metri dalla sede della Sudgas. Esposito, stava rientrando a casa in auto insieme al figlio, quando due uomini in sella a una moto lo affiancarono e aprirono il fuoco. Sei colpi d’arma da fuoco lo colpirono al volto, alla nuca e alla spalla. Fu il figlio a soccorrerlo immediatamente, trasportandolo all’ospedale “Moscati” di Aversa, dove i medici riuscirono a salvarlo nonostante la gravità delle ferite. Tre proiettili vennero estratti con un delicato intervento chirurgico.

 

Dietro quell’agguato, secondo le indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, si celava una feroce faida tra clan: i “Caterino-Ferriero” da un lato e i “Mazzara” dall’altro. Esposito, considerato “non amico” del gruppo dominante, sarebbe stato colpito proprio per questo. A organizzare l’attentato, come emerse dalle indagini della Dda, fu Michele Ferriero, già condannato in via definitiva come mandante, con la collaborazione di Luca Bove, il cosiddetto “specchiettista”, cioè colui che ha segnalato i movimenti della vittima. Nicola e Salvatore Pota, dopo questa condanna, sono ritenuti gli esecutori materiali del delitto. La ricostruzione giudiziaria, lunga e complessa, si è basata su intercettazioni ambientali e telefoniche, ma anche sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Luca Mosca, poi assolto per questo specifico episodio.

 

La vicenda processuale ha conosciuto un iter tortuoso: una prima condanna era arrivata nel 2017, con rito abbreviato, dal Gup del Tribunale di Napoli. Ma fu la Sesta Sezione della Corte di Appello, a ribaltare il verdetto con un’assoluzione. Sentenza, poi, annullata dalla Corte di Cassazione. Un nuovo processo davanti alla Quarta Sezione della Corte di Appello si concluse nel 2021 con una seconda condanna. Anche questa, però, non resse al vaglio della Suprema Corte, che nel 2022 dispose un ulteriore annullamento, ritenendo necessario un approfondimento sulle dichiarazioni rese dal collaboratore Mosca.

 

La Terza Sezione della Corte di Appello di Napoli, con una nuova composizione, riesaminò il caso, emettendo una sentenza di condanna. Ieri è giunta la parole fine a questa vicenda, che fura dal 2008. Gli imputati sono stati difensi dagli avvocati Carmine D’Aniello, Gaetano Laiso e Nicola Marino, mentre Vincenzo Esposito, si è costituito parte civile tramite gli avvocati Vincenzo Guida e Giovanni Midiocestomarco.

 

 

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