Legami col clan Belforte, stangata per famiglia di costruttori

MARCIANISE. La Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, ha messo la parola fine al procedimento che vedeva coinvolti Angelo Pontillo, Rosina Porfidia, Maria Pontillo e Giovanni Giuseppe Pontillo, respingendo in via definitiva i loro ricorsi e rendendo così irrevocabile la confisca dei beni già disposta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e confermata in appello dalla Corte di Napoli lo scorso 1° aprile 2025.

L’intera vicenda nasce da un’istanza avanzata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dalla DIA di Napoli, che avevano segnalato una notevole sproporzione tra i beni intestati alla famiglia Pontillo e i redditi ufficialmente dichiarati, ipotizzando una vicinanza al clan Belforte.

Il ricorso alla Suprema Corte si fondava su otto punti di doglianza, tra cui la contestazione della retrodatazione al 1996 della pericolosità sociale di Angelo Pontillo, già sottoposto in passato a sorveglianza speciale, e la presunta errata valutazione delle prove economiche presentate dalla difesa, come la vincita al gioco o l’accollo di mutui da parte di terzi.

I giudici di legittimità, con la sentenza n. 32934/2025, hanno però ritenuto pienamente corretto l’operato dei magistrati di merito, affermando che la retrodatazione può essere applicata in presenza di nuovi elementi significativi e che il diritto alla difesa è stato regolarmente garantito. Nessuna violazione procedurale o travisamento delle prove è stato riscontrato.

La Cassazione ha inoltre sottolineato come la gestione della società Co.Cem. srl da parte di Pontillo rappresentasse un segnale chiaro della fiducia riposta in lui dal clan e di un’integrazione stabile nei circuiti criminali già prima del 1999.

Con la decisione definitiva, i ricorrenti sono stati condannati anche al pagamento delle spese processuali.

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