Il 23 settembre di 82 anni fa, il vice brigadiere Salvo D’Acquisto si offriva in sacrificio al plotone d’esecuzione nazista, per evitare che venissero uccisi dei cittadini inermi, nel corso di una rappresaglia.
Si tratta di uno degli esempi di abnegazione più cari alle donne e agli uomini dell’Arma e non possiamo che celebrarlo nel modo che merita: traendo, dal ricordo, tutta l’energia che serve per svolgere il nostro lavoro quotidiano, al meglio delle nostre possibilità.
I tedeschi avevano rastrellato ventidue innocenti perché due dei loro soldati erano morti in un attentato: dieci italiani per ogni tedesco era la regola. Ma quella volta ne avevano buttati in mezzo due in più.
A tutti loro fecero scavare, anche a mani nude, le fosse dove li avrebbero gettati dopo l’esecuzione. La disperazione aveva colto tutti i prigionieri, perché la morte sembrava ormai inevitabile.
Ma d’un tratto, incredibilmente, vennero tutti rilasciati. Tutti tranne uno: il vicebrigadiere Salvo D’Acquisto.
Salvo aveva parlato con l’ufficiale tedesco in comando e si era preso la colpa dell’attentato, anche se non c’entrava niente.
Sapeva che se i tedeschi avessero trovato il colpevole, non avrebbero potuto uccidere degli innocenti. E così fece: si prese lui la colpa.
I prigionieri rilasciati corsero subito via da quell’orrore. Ma uno di loro, il più giovane, restò per vedere cosa accadeva. Vide il plotone schierarsi di fronte a Salvo, in divisa. Sentì le sue ultime parole: Viva l’Italia.
Poi la scarica di mitra.