“Pazzaglione” vuole il pizzo, Ferraro protegge l’amico-imprenditore: la quota era già decisa

MADDALONI/CASAL DI PRINCIPE/ARIENZO. Emergono nuovi dettagli dall’ordinanza cautelare che ha portato all’arresto di Nicola Ferraro, figura di spicco già nota alle cronache giudiziarie e accusata di gestire un sistema di condizionamento negli appalti pubblici, soprattutto nei settori della sanificazione e dei servizi collegati alle ASL di Caserta e Benevento.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Domenico Romano, Ferraro avrebbe mantenuto negli anni una rete di imprese in grado di “blindare” le gare. Il meccanismo, descritto in dettaglio, prevedeva che in molti casi vi fosse un solo partecipante o, comunque, un gruppo ristretto di aziende collegate tra loro e alla regia dello stesso Ferraro, originario di Casal di Principe . La vittoria dell’appalto comportava poi il versamento di una quota – generalmente il 5% dell’importo – a suo favore.

Gli investigatori sottolineano come questo metodo non si fondasse su atti di intimidazione o violenza, ma su un accordo consolidato tra imprenditori compiacenti. L’assenza di minacce dirette, secondo il giudice, non riduce la gravità del quadro accusatorio, che parla di una strategia di lungo periodo capace di escludere potenziali concorrenti esterni, specialmente da altre province o regioni.

Dalle carte emerge anche un episodio di presunta protezione offerta da Ferraro all’imprenditore Aniello Ilario, protagonista di vicende corruttive in diversi comuni campani. L’intervento sarebbe avvenuto in risposta a un tentativo di estorsione da parte di un esponente della malavita di Maddaloni, noto come “Pazzaglione”.

La ricostruzione include inoltre collegamenti, seppur non provati in termini di attualità, con ambienti criminali di rilievo. Viene citato anche il clan D’Alessandro, con cui Ferraro avrebbe avuto contatti indiretti attraverso terzi, e un episodio legato a Catania, dove, secondo l’accusa, avrebbe agevolato un accordo tra imprenditori locali e il gruppo mafioso Santapaola per l’aggiudicazione di un appalto nella raccolta rifiuti. In cambio, sarebbe stata versata una somma di denaro.

Il ruolo di intermediari come Antonio M. e lo stesso Domenico Romano, oggi collaboratore di giustizia, viene indicato come fondamentale per portare avanti trattative e garantire l’esito favorevole delle gare.

Nonostante le contestazioni, il giudice riconosce che manca la prova di un legame diretto e attuale con determinati clan, come quello degli Schiavone. Tuttavia, la persistenza di rapporti, seppur indiretti, e la capacità di Ferraro di incidere sulle dinamiche degli appalti, secondo l’accusa, delineano un sistema di influenza capillare che si sarebbe adattato nel tempo, abbandonando la violenza in favore di una gestione più silenziosa e strategica delle commesse pubbliche.

Un click e sei sempre informato! Iscriviti al nostro canale WhatsApp per ricevere le news più importanti. Premi qui ed entra!

Exit mobile version