Colloqui, ordini, parenti e lotti: scoperchiato il sistema Schiavone

Casal di Principe. Dopo l’arresto del figlio Ivanhoe a luglio, anche Antonio Schiavone, fratello di Francesco Schiavone detto “Sandokan”, è finito dietro le sbarre nell’ambito dell’inchiesta sui terreni di località Selvalunga a Grazzanise. Secondo gli investigatori, quei terreni erano stati intestati a un prestanome dal capoclan per eludere i sequestri, con il tentativo successivo – portato avanti proprio da figlio e fratello – di rientrarne in possesso per poi venderli e incassarne il ricavato.

 

L’operazione è stata condotta dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Oltre ad Antonio Schiavone, il giudice per le indagini preliminari ha disposto i domiciliari per altre due persone. Decisi gli arresti domiciliari per Francesco Paolella e Amedeo De Angelis

Le accuse per tutti riguardano concorso in riciclaggio e autoriciclaggio, aggravati dal metodo mafioso.

 

Le indagini, svolte tra il 2024 e il 2025, si sono basate su intercettazioni, controlli patrimoniali e analisi di colloqui avvenuti in carcere tra “Sandokan” e familiari stretti, tra cui la moglie, le sorelle e lo stesso Antonio. A questi elementi si sono aggiunte le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, compreso il primogenito del boss, Nicola Schiavone. Proprio grazie a questi riscontri, a luglio era stato arrestato Ivanhoe Schiavone, ultimo figlio ancora in libertà del capoclan, e ora lo zio Antonio.

 

Al centro dell’inchiesta c’è un lotto dal valore stimato di 500mila euro. Alla morte del prestanome, i suoi eredi lo avevano affittato a un terzo soggetto. Secondo la ricostruzione della Procura, Ivanhoe e un altro indagato, Corvino, avrebbero costretto l’affittuario – con modalità tipiche dell’ambiente camorristico – a rinunciare sia al contratto sia al diritto di prelazione, così da procedere alla vendita del bene a persone di loro fiducia. L’operazione di cessione si sarebbe poi concretizzata per 250mila euro.

 

Per gli inquirenti, Antonio Schiavone aveva il compito di amministrare i beni fittiziamente intestati a prestanome, con l’obiettivo di assicurare entrate economiche per il mantenimento del fratello detenuto e della sua famiglia.

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