ORTA DI ATELLA. Non serviva conoscere la lingua, né vivere davvero in Italia: bastava pagare. La cittadinanza italiana, per molti cittadini brasiliani, era diventata un servizio a richiesta, con un costo ben preciso e una rete di contatti in grado di garantire tutto il necessario – dai certificati di residenza ai passaporti, passando per documenti “d’epoca” su finti avi italiani. Il tariffario? Dagli 8mila ai 45mila euro a testa, con una media di 22mila euro per “trasformarsi” in cittadini italiani nel giro di poche settimane. Non per merito, ma per business.
Dietro questa macchina ben oliata si muoveva una struttura che oggi finisce di nuovo sotto la lente della Procura di Napoli Nord. Un nuovo filone, che segue l’inchiesta dell’anno scorso su Villaricca, ha portato all’esecuzione di otto misure cautelari, smascherando un sistema in cui la residenza era solo una finzione, i documenti un copia-incolla, e la legalità un optional.
Al centro della rete c’era un imprenditore finito in carcere, il titolare di una società d’intermediazione che faceva da ponte tra i richiedenti e gli uffici comunali compiacenti. A finire ai domiciliari, invece, alcuni nomi noti nei corridoi del Comune di Orta di Atella:
Giuliano Mozzillo e Salvatore Aletta, entrambi vigili urbani,
Carmela Del Prete, dipendente dell’ufficio Anagrafe,
e un altro funzionario, questa volta del Comune di Frattaminore.
Insieme a loro, anche tre privati cittadini, che avevano messo a disposizione immobili per simulare le residenze, oltre a contribuire materialmente alla produzione di falsi timbri, stemmi della Repubblica, certificazioni straniere e documenti manipolati.
Il meccanismo, ricostruito nei dettagli dagli investigatori della Polizia Metropolitana di Napoli, prevedeva la raccolta delle domande da parte dei mediatori, che poi istruivano pratiche “preconfezionate” da far passare come autentiche all’interno degli uffici comunali, con la complicità di alcuni dipendenti. Bastava indicare un indirizzo – spesso scelto tra quelli forniti dagli stessi arrestati – e da lì prendeva il via la finta residenza. I documenti venivano firmati, registrati, timbrati. Tutto in cambio di denaro, regali, favori.
Le indagini, partite mesi fa come naturale prosecuzione del blitz su Villaricca (che ha già portato a condanne con rito abbreviato), hanno portato alla scoperta di una contabilità parallela, conservata su supporti informatici e incrociata con centinaia di pratiche. I file sequestrati contenevano cifre dettagliate, nomi dei “clienti”, e – cosa ancora più rilevante – le somme versate ai singoli dipendenti pubblici coinvolti.
Secondo gli inquirenti, l’intera operazione aveva un volume d’affari milionario. Una vera e propria fabbrica della cittadinanza che agiva tra Orta di Atella e Frattaminore, producendo identità italiane per clienti che non avevano mai messo piede sul territorio.
Tutto ruotava attorno al concetto di “jure sanguinis”, ovvero il diritto alla cittadinanza per discendenza da avi italiani. Ma dove mancavano gli avi, si creavano. Dove non c’era residenza, si inventava. E dove serviva un timbro, si falsificava.
I magistrati parlano di una vera associazione per delinquere, costruita con precisione attorno a interessi economici fortissimi. Il rapporto corruttivo era stabile e continuativo, e in molti casi ha permesso ai cittadini stranieri di ottenere la carta d’identità italiana e la possibilità di muoversi liberamente all’interno dell’Unione Europea. L’illusione di essere diventati italiani, semplicemente pagando il prezzo giusto.
E la storia non è ancora finita: nuovi aggiornamenti sono attesi nei prossimi giorni, e altre persone potrebbero finire coinvolte in quello che appare come un mercato della cittadinanza molto più esteso di quanto finora accertato.