“Il clan è morto”: storico boss verso lo stop al 41bis

MARCIANISE. Svolta storica per il boss Domenico Belforte. Sono state depositate le motivazioni con cui la Suprema Corte ha annullato la proroga del carcere duro per Mimì Mazzacane. Una scelta che va in controtendenza con quanto confermato dal tribunale di sorveglianza appena sette mesi fa.

Per la Cassazione, infatti, il clan Belforte è orami disgregato e quindi non più operativo: una tesi perorata dalla difesa che ha dunque visto l’accoglimento del ricorso. Domenico Belforte però non lascerà già il carcere duro al quale è ristretto ormai da oltre 25 anni: sul suo caso dovrà pronunciarsi di nuovo il tribunale di sorveglianza di Roma, al quale è tornato il dossier dopo l’annullamento della Cassazione.

A marzo  il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva rigettato il reclamo scritto di suo pugno dallo stesso Belforte dopo che a settembre 2024 il Ministro della Giustizia aveva prorogato per altri due anni il regime carcerario duro previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario. Per i giudici capitolini, “Belforte continua ad avere un ruolo apicale e non ha mostrato segni di resipiscenza e di definitivo allontanamento dalle logiche criminali del clan di provenienza”, e risulta “incessante lo sforzo di Belforte di veicolare all’esterno ordini e indicazioni di azioni criminali a sodali liberi o anche detenuti”.

I magistrati valorizzarono, ritenendoli rilevanti per la decisione, soprattutto le ultime operazioni contro il clan delle forze dell’ordine, non considerando le affermazioni contenute già dal 2020 in provvedimenti giudiziari della sezione misure di prevenzione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ricordati nel reclamo, in cui si parla di un clan Belforte “completamente azzerato a tutti i livelli, anche di semplice manovalanza” (novembre 2020), e “di totale annientamento del clan come pure della ramificazione di questo dedita allo spaccio” (aprile 2023). Ora però c’è la scure della Cassazione che potrebbe ridare a Domenico Belforte quella detenzione “normale” di fatto mai sostenuta.

 

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