Santa Maria Capua Vetere. “Siamo passati nel tunnel degli agenti e prendevamo botte da tutte le parti, tanto che anche i poliziotti che ci tenevano le hanno prese”.
Ricordi vividi e choccanti quelli riferiti in aula da Alessandro Zampella, vittima dei pestaggi avvenuti il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Zampella è attualmente ancora detenuto – è stato condannato per concorso in omicidio – e ha testimoniato nell’aula bunker del carcere al maxi-processo che vede imputati per quei fatti 105 persone tra poliziotti penitenziari, funzionari del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e medici dell’Asl.
Il suo racconto era particolarmente atteso perché Zampella è uno dei 15 detenuti finiti nel reparto di isolamento Danubio dopo i pestaggi, e che soprattutto divise per una decina di giorni quella cella con il detenuto algerino Hakimi Lamine, morto un mese dopo i fatti, e del cui decesso rispondono undici imputati.
“Quando arrivai in isolamento – ha detto – vidi in cella una persona a terra sul materasso, sembrava morto, teneva un occhio quasi fuori ed un ematoma enorme; questo detenuto rimase così per tre giorni, al massimo mangiava ogni tanto un pezzo di panino o si alzava per andare in bagno, ma stava sempre sul letto, e solo dopo iniziò a parlare, e capii che era straniero. Per 3-4 giorni siamo rimasti in cella senza ciabatte, vestiti, senza niente, e solo dopo che parlammo con il magistrato di sorveglianza Marco Puglia, arrivarono i vestiti e potemmo tornare a fare due ore di passeggio”.
Su Lamine, Zampella spiega che “prendeva una terapia, l’infermiere gli dava le medicine in una calza, e lui si gestiva da solo, e capitava che le accumulava e un giorno ne prendeva di più. Era spesso agitato, e diceva che voleva vendicarsi della guardia che l’aveva ridotto così e di un detenuto che aveva preso parte al suo pestaggio”. Lamine restò in isolamento dal 6 aprile al 4 maggio, quando morì. “Quel giorno – ricorda Zampella – eravamo al passeggio quando ci fu data notizia del decesso; i detenuti suoi connazionali fecero un casino, se la prendevano con la guardie”.
In aula sono stati proiettati video crudi delle violenze, che confermano il contenuto di quanto dichiarato da Zampella, ovvero che due poliziotti lo avevano prelevato dalla cella e lo avevano portato per le scale usate dagli agenti, dove non ci sono telecamere, dal secondo al primo piano del reparto Nilo.
Al primo piano si vede Zampella che cerca di attaccarsi ad una porta in ferro, e viene circondato da diversi poliziotti, alcuni dei quali lo colpiscono al fianco e al corpo. Solo un ispettore (identificato nel Sovrintendente Salvatore Mezzarano) chiede agli altri poliziotti di smetterla. Zampella ha poi riferito, sul ruolo della Commissaria della Polizia penitenziaria Anna Rita Costanzo (imputata), di aver sentito “la sua voce il giorno del 6 aprile”, senza attribuirle alcuna condotta violenta come fatto da altre vittime sentiti come testimoni. Il teste afferma poi di essere “stato cinque anni nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e la Commissaria mi ha sempre aiutato, facendomi fare anche teatro”.
Zampella è poi intervenuto sull’episodio dell’olio bollente che il 6 aprile la polizia penitenziaria disse di aver sequestrato e con cui, a detta degli agenti, la sera prima, i detenuti li avrebbero minacciati durante le proteste per il Covid. “L’olio serviva per gli spaghetti, che poi abbiamo mangiato”.
In sede di controesame, Carlo De Stavola, legale di alcuni agenti imputati, ha fatto notare come Zampella abbia incontrato un’altra vittima dei pestaggi, Bruno D’Avino, il 22 maggio 2020, quando i due erano stati convocati dai pm per rendere dichiarazioni sulle violenze, e come i due, dopo i fatti, siano stati nelle stesse carceri, da Carinola all’Ucciardone ad Ariano Irpino. Circostanze che adombrerebbero un possibile accordo tra i due detenuti sulle dichiarazioni da rendere, anche perché D’Avino, qualche mese fa in aula, aveva detto a chiare lettere che “se io voglio qua non viene a testimoniare più nessuno”, lasciando intendere di poter controllare gli altri detenuti vittime dei pestaggi.
Il pm Alessandro Milita sbotta, si arrabbia anche il teste, che comunque ammette di non ricordarsi dell’incontro tra un interrogatorio e l’altro, confermando poi di essere tornato quel giorno, dopo aver parlato con i pm, con D’Avino al carcere di Carinola. “Parlammo di ciò che avevamo fatto, ma non ricordo cosa dicemmo”.