Supercar e auto di lusso, la bella vita dei trans che gestivano il business del sesso. I turni e i conti

CASTEL VOLTURNO. Sono durate tre anni le indagini che hanno portato in carcere undici trans brasiliani. Gravi i reati contestati: dall’associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, alla tratta di esseri umani, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Napoli. Una vicenda che ricorda quella, scoperta sempre a Castel Volturno, della tratta delle nigeriane adescate in patria e portate in Italia, dove venivano ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi, sotto il controllo di organizzazioni criminali nigeriane che le tenevano sotto scacco anche con riti voodoo.

Per le vittime brasiliane accadeva più o meno la stessa cosa, hanno accertato gli investigatori della Squadra Mobile di Caserta, che nel giardino di casa di una delle vittime hanno trovato la testa di una statuetta raffigurante una divinità circondata da frutti, a quanto pare l’elemento chiave di un cerimoniale di magia nera finalizzato a provocare la morte del destinatario del rito e attuato dai membri dell’organizzazione a scopo punitivo.

Il gruppo criminale – è emerso – aveva la propria base a San Paolo del Brasile, dove un referente era incaricato di reclutare persone transgender, che venivano ospitate in alcuni immobili e indotte a prostituirsi nella metropoli brasiliana. Trascorso il tempo necessario a procurarsi la documentazione per l’espatrio e il biglietto aereo, i cui costi erano in questa fase a carico dell’organizzazione criminale, le vittime della tratta venivano inviate in Italia, solo dopo aver ottenuto però il placet del capo della banda.

Atterrate a Milano Linate, venivano prelevate da altri componenti dell’organizzazione che fornivano loro una dichiarazione fittizia di ospitalità consentendone così l’ingresso e la permanenza legale per motivi di turismo sul territorio nazionale. Poi il trasferimento a Napoli e di qui in auto fino a Castel Volturno, con la segregazione in un appartamento e il divieto di comunicare con persone diverse dagli sfruttatori.

Alle vittime veniva ritirato il telefono cellulare e imposto un severo regime di condotta. La prostituzione avveniva in strada, secondo rigidi turni orari e sotto il controllo di alcuni membri del gruppo. I proventi dell’attività venivano versati al capo dell’organizzazione quale saldo del debito contratto per entrare in Italia, che era sempre superiore ai 10.000 euro. I transgender che gestivano il business illecito conducevano una vita agiata grazie allo sfruttamento degli altri trans, con auto, case e vestiti di lusso, gioielli. Dalle indagini non sono emersi collegamenti con la criminalità organizzata italiana.

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