Recuperando il contatto con i referenti, con coloro i quali sono ancora in grado di ricostruire tali storie o attingendo alla propria memoria personale per quanti ho avuto la possibilità di conoscere direttamente. Ne viene fuori una trama ricca di aneddoti dalla quale si ricava uno spaccato significativo di una piccola realtà sostanzialmente rurale, rimasta immutata per tanto tempo in questa dimensione, con una sua particolare visione del mondo. Con i suoi pregi e con i suoi difetti, naturalmente.
È possibile, secondo lei, tracciare una sorta di articolata “mappa dell’identità”, un modello identitario esemplare, per intenderci, partendo da un piccolo contesto urbano?
Il modello identitario nasce sul campo: il tic, il difetto fisico e morale, l’atteggiamento, l’attività, la vicenda personale, quella eccezionale di cui si è reso protagonista il portatore del soprannome, l’accostamento (per analogia o per contrapposizione, ironica, sarcastica) ai grandi personaggi. Ne viene fuori un identi-kit nuovo, immediato, che la forza calda dell’inventiva popolare conia d’istinto. Il “contranomme” quindi si radica e si diffonde e si fissa per sempre nell’immaginario della comunità. Questa “mappa”, secondo me, fatte le dovute differenze (linguistiche, sociali, economiche) è applicabile in maniera diffusa anche in altri contesti urbani.
Esistono ancora i soprannomi oggi, e hanno lo stesso peso di un tempo?
Sì, esistono ancora, ma nascono e si diffondono in aree specifiche (penso a un ambiente di lavoro, a un ufficio, a gruppi giovanili), ma non hanno e non possono avere lo stesso peso di un tempo per una semplice ragione: è cambiato il modo di vivere, è cambiata la società, l’economia. L’indagine proposta, a mio avviso, è interessante proprio per questo, perché il soprannome, diffuso, capillare, unico tratto distintivo appare come la cartina di tornasole di una microcosmo sociale.