TEANO. Serena Mollicone è morta dopo 5 ore di agonia, uccisa da chi avrebbe potuto e dovuto proteggerla all’interno di una stazione dei carabinieri, quella del paesino di Arce. Per questo la procura di Cassino ha chiesto la condanna a 30 anni per l’allora comandante della caserma, Franco Mottola (originario di Teano), a 24 per il figlio Marco e a 21 per la moglie Anna Maria. Per tutti l’accusa è quella di concorso in omicidio volontario, anche se nella ricostruzione dei pm sarebbe stato Marco Mottola l’autore materiale dell’omicidio, mentre i genitori si sarebbero invece occupati dell’occultamento del cadavere, ritrovato poi in un boschetto vicino al piccolo paese della Ciociaria.
La richiesta a 30 anni per Franco Mottola è stata aggravata dal fatto che all’epoca l’uomo aveva un ruolo all’interno delle forze dell’ordine. A 21 anni dal delitto della 19enne, costellato da silenzi e depistaggi, gli autori dell’omicidio Mollicone potranno finalmente avere un nome e un volto. Nella requisitoria finale, i pm hanno ricostruito attimo dopo attimo gli ultimi momenti di vita della giovane, partendo da quella porta della caserma “utilizzata come arma”. Secondo la ricostruzione dell’accusa, infatti, Serena sarebbe stata scaraventata contro l’anta della porta da Marco Mottola, poi lasciata agonizzante per quattro-sei ore fino a quando non morì soffocata a causa del nastro adesivo sulla bocca e sul naso.
“Serena dopo il violento colpo contro la porta dell’alloggio della caserma cadde priva di sensi a causa di alcune fratture craniche ma poteva essere soccorsa – spiegava la ricostruzione della perizia del medico legale di parte -. Fu lasciata, invece, in quelle condizioni per quattro-sei ore prima di essere uccisa dal nastro adesivo che gli è stato applicato sulla bocca e sul naso provocandone il soffocamento”. Il movente, secondo la requisitoria, sarebbe legato ad una lite che Mottola ebbe con Serena alcune ore prima.
“Serena – ha spiegato il pm di Cassino – quel giorno si era recata dal dentista a Sora e poi salì a bordo dell’auto di Mottola per un passaggio. Con lui si fermò davanti ad un bar dove fu vista litigare con il giovane”. La ragazza andò, quindi, in caserma per recuperare dei libri che aveva lasciato in auto e lì, secondo l’accusa, venne aggredita. Il pubblico ministero ha affermato, inoltre, che furono i genitori di Mottola ad occuparsi dell’occultamento del cadavere. La notte tra il primo e il due giugno di 21 anni fa “Franco e Anna Maria Mottola portano il corpo di Serena nel bosco di Fonte Cupa”, un elemento confermato anche dall’analisi dei tabulati telefonici e dal racconto di un testimone. In quel boschetto, a 8 chilometri da Arce, Serena fu ritrovata la mattina del 3 giugno 2001: il corpo in posizione supina in mezzo ad alcuni arbusti, la testa, con una vistosa ferita, avvolta in un sacchetto di plastica, mani e piedi legati con scotch e fil di ferro.
Nastro adesivo anche su naso e bocca. Nella requisitoria, i giudici hanno chiesto anche una condanna a 15 anni per Vincenzo Quatrale, all’epoca vice maresciallo e accusato di concorso esterno in omicidio, e 4 anni per l’appuntato dei carabinieri Francesco Suprano a cui è contestato il favoreggiamento. Entrambi, secondo l’accusa, sapevano cosa era successo in caserma, ma decisero di non parlare. Cosa che fece, anni dopo, il loro collega, il brigadiere Santino Tuzi, poi suicidatosi “perché – sono le parole del pm di Cassino – è stato lasciato solo da tutti quelli che sapevano, a partire dai colleghi Suprano e Quatrale”.