MARCIANISE. Trovato l’arsenale del clan custodito dal pentito. Primi riscontri delle forze dell’ordine alle parole del nuovo collaboratore di giustizia Giovanni Buonanno, 41enne figlio del boss Gennaro detto “Gnucchino” e da un mese passato dalla parte dello Stato.
Nei giorni scorsi i carabinieri hanno trovato fucili e pistole e un portatesserino con placca metallica della polizia. L’arsenale era custodito dallo stesso Buonanno che ha contribuito a far trovare le armi ora al vaglio degli esperti della Scientifica per valurare se stiano state utilizzate in fatti di sangue.
Buonanno fu arrestato dalla Guardia di Finanza lo scorso 31 gennaio nell’ambito dell’operazione su usura e estorsione che vide coinvolto anche l’imprenditore dei supermercati Siciliano ma appena un mese dopo.
La difesa di Buonanno riuscì a dimostrare che il 41enne all’epoca del contestato reato di estorsione era agli arresti domiciliari, facendo di fatto decadere l’esigenza cautelare per uno dei due capi. Sono contestati a vario titolo i reati di associazione camorristica, usura, estorsione e impiego di proventi illeciti mediante l’utilizzo del “metodo mafioso”.
Secondo quanto emerso dagli accertamenti realizzati dai finanzieri della Compagnia di Marcianise, Siciliano avrebbe incassato gli assegni provento di usura per conto dei fratelli Buonanno; si tratta di una somma di 85mila euro che sarebbe poi stata riutilizzata dall’imprenditore per le proprie attività commerciali. I finanzieri hanno anche sequestrato agli indagati, su ordine del Gip, la somma di 240mila euro. La vittima è un imprenditore di Marcianise cui i Buonanno avrebbero prestato soldi con tassi di interesse dal 120% al 130% annui. In particolare all’operatore economico sono stati fatti vari prestiti per un totale di 60mila euro, e in un solo anno ha restituito a titolo di interesse 30mila euro. Per l’accusa in un’occasione, tra novembre e dicembre del 2015, la vittima sarebbe stata costretta a salire in un’automobile e minacciata di morte dai Buonanno per farsi consegnare i soldi del prestito, oltre che un “regalo” di 2mila euro per il clan Belforte in occasione delle festività natalizie; fatto non concretizzatosi perché l’imprenditore si è opposto. Dalle indagini, è emerso che Siciliano avrebbe anche minacciato la vittima prima che la stessa venisse ascoltata dalla Guardia di Finanza, affinché ammettesse falsamente di aver consegnato gli assegni provento di usura ad un altro imprenditore e che quest’ultimo li avesse poi dati a Siciliano pe normali rapporti d’affari.